F(r)onti d’ansia: se l’azienda non protegge

Recentemente ho recuperato i libri dell’Università dalla cantina dei miei genitori. In questo momento troneggiano nella mia libreria, appena dietro di me. Sento pulsare i ricordi di cinque anni di stupore. Se dovessi associare un’emozione al mio percorso universitario sarebbe proprio questa. Ogni libro, esame e lezione portava con sé un costante “effetto wow”, che innescava in me ragionamenti inediti, insight e considerazioni nuove.

Mi sono innamorata della Psicologia del lavoro con “La vita organizzativa” di Gian Piero Quaglino, il cui primo capitolo ha ispirato il titolo di questo articolo. Un volume denso, che approfondisce i vissuti inconsapevoli ed emotivi legati al lavoro. Tra questi, per l’appunto, l’ansia, di cui in questi giorni sto scrivendo e parlando molto. Complice anche l’annuncio di Inside Out 2, che vedrà proprio l’arrivo di Ansia tra i personaggi.

Un’emozione che siamo abituati e abituate ad esperire nelle nostre giornate, ma le cui fonti organizzative rimangono spesso ignote. Se infatti il contesto socio-economico e geo-politico di incertezza in cui viviamo gioca un ruolo preponderante, è anche vero che la questione non si esaurisce qui. Concorrono infatti elementi intrinseci – e quindi irriducibili – ritrovabili in ogni azienda. Elementi di cui, come anticipato, il più delle volte siamo inconsapevoli.

Fronti d’ansia: la gestione dei confini

Se in passato esisteva un dentro-fuori netto e ben definito tra azienda e mondo esterno, oggi sappiamo che non è più così. Complici di questo cambiamento sono la tecnologia, lo smart working e l’attenzione sempre più capillare che viene posta alla dimensione emotiva e umana sul lavoro. Traguardi importanti, che tuttavia hanno trasformato l’organizzazione da sistema chiuso a sistema aperto. Con decisive conseguenze sul piano psicologico.

Ieri i confini erano dati e ricoprivano una sorta di “funzione riparo”. Oggi, spetta alla singola persona porseli da sola. Se prima ciò che era dentro – lavoro, operatività – era ben distinto da ciò che stava fuori – emozioni, vita personale – oggi i piani si mescolano. E la funzione riparo dell’organizzazione viene meno, in virtù di una maggiore libertà per il singolo. Insieme a una responsabilità che gli viene di conseguenza demandata e che viene invece a mancare a livello collettivo.
Come diretta conseguenza di ciò, le persone faticano a capire dove porre la loro frontiera e sono occupate in una costante negoziazione da questo punto di vista. Sia con se stesse, sia con la propria azienda. Con tutti i vissuti emotivi che questa negoziazione comporta. Soprattutto perché non si arresta mai: richiede costanti aggiustamenti.

Il ruolo del proprio ruolo

Un altro elemento che alimenta ansia e malessere psicologico è il modo in cui vengono gestiti i ruoli all’interno delle organizzazioni. Questi, esistono non solo perché utili alla gestione delle attività, ma anche perché funzionali da un punto di vista soggettivo e psicologico. Determinano ciò che si è chiamati a fare e danno forma al proprio lavoro.
Esattamente come i confini tra dentro e fuori l’azienda, anche il ruolo ricopre una “funzione di riparo”. Stabilisce ciò che mi compete e ciò che non mi compete e definisce ciò che sono in una data realtà organizzativa e ciò che non sono. In qualche misura, anche il ruolo definisce un dentro e un fuori.

Nel momento in cui – nella complessità e fluidità attuale – si fa meno chiaro perché necessariamente più elastico e cangiante, molte persone percepiscono confusione rispetto alle proprie attività e – in maniera decisamente meno cosciente – rispetto alla propria identità. Ma quindi io chi sono? È la domanda che non si è consapevoli di porsi. Un interrogativo che alimenta l’ansia legata al non riuscire a riconoscersi e ritrovarsi.

Una soluzione per gestire l’ansia organizzativa

L’ansia è ineluttabile. Specialmente in azienda. Sia perché è un’emozione e, in quanto tale, non è azzerabile, sia perché le organizzazioni – come scrive Quaglino – nascono (anche) per contenerla. Senza ansia, in un certo qual modo, non esisterebbero.
Tuttavia, è possibile gestirla.
Per farlo, accanto ai servizi di supporto psicologico e alle iniziative di formazione sul tema, è necessario utilizzare una lente psicologica per osservare le aziende. La psicodinamica della vita organizzativa, infatti, insegna che non è possibile gestire e far funzionare bene un’impresa se ci si limita al livello di ciò che si vede. Esattamente come una persona, anche l’organizzazione è un iceberg. La cui superficie visibile è sì e no un decimo del totale. Ecco allora che è necessario dotarsi di un bombola d’ossigeno e scendere in profondità.
Oggi più che mai, le aziende hanno bisogno di osservarsi da dentro e da sotto. Insieme a chi è in grado di accompagnarle in questo viaggio alla scoperta del proprio inconscio.

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