La fotografia di Ugo Mulas incanta in laguna. La grande mostra alla Fondazione Cini

Ugo Mulas, Il laboratorio. Una mano sviluppa, l’altra fissa, A Sir John Frederick William Herschel, 1970 – 1972 © Eredi Ugo Mulas. Tutti i diritti riservati / Courtesy Archivio Ugo Mulas, Milano – Galleria Lia Rumma, Milano / Napoli

Tra gli incanti di Venezia se ne aggiunge in questi mesi uno temporaneo, che durerà fino ai primi di agosto: la grande mostra su Mulas (Ugo Mulas. L’operazione fotografica) allestita nei neonati spazi de Le Stanze della Fotografia, un’iniziativa della benemerita Fondazione Giorgio Cini assieme a Marsilio Arte, con l’ambizione di istituire un “centro internazionale di ricerca e valorizzazione della fotografia e della cultura delle immagini”.

Difficile ipotizzare un esordio migliore, perché si tratta di una rassegna imperdibile: non trovo altra parola per questa magnifica antologica, visitando la quale non credo possa esservi dubbio alcuno sul fatto che Ugo Mulas sia il più grande fotografo italiano. Di sempre.

La Fondazione Cini

Le Stanze sono solo l’ultima delle iniziative portate avanti dalla Fondazione Cini, costituita nel 1951 dal conte Vittorio nel nome di Giorgio, suo unico figlio maschio ed erede, scomparso in un incidente aereo a soli 30 anni. Il Conte dedicò parte considerevole del suo cospicuo patrimonio all’ente, tra i primi istituti consacrati agli studi umanistici in Italia, facendone un polo di eccellenza di respiro internazionale sito a San Giorgio Maggiore, l’isola di fronte a piazza San Marco all’imbocco del canale della Giudecca.

La visita della mostra

Ma veniamo alla mostra, ospitata nelle restaurate Sale del Convitto, che ospitano appunto le Stanze: più di 300 immagini, organizzate in 14 sezioni tematiche, allestite nei due grandi ambienti al pianterreno, raccordati da un più piccolo spazio centrale nel quale sono fornite al visitatore le informazioni fondamentali sulla troppo breve vita dell’artista, nato a Pozzolengo (BS) nel 1928 e scomparso nel 1973 a 44 anni, raccontata attraverso una timeline infografica, una vetrina che raccoglie alcune delle sue principali pubblicazioni e, soprattutto, la proiezione di uno splendido documentario, esemplare per chiarezza, misura e sensibilità.

La visita è da gustare con lentezza: consiglio di percorrere inizialmente le sale senza un itinerario preciso, facendosi guidare dalla magnetica bellezza del bianco e nero delle stampe, per entrare in sintonia con il mondo di Mulas; si potrà poi (e dovrà) ripartire dalla sala documentaria e da lì ripercorrere le tappe di un’avventura umana e intellettuale intensa e appassionata, continuamente animata da un desiderio di vita, visione e conoscenza.

Le 14 sezioni sono lo specchio degli innumerevoli interessi di Mulas, dal reportage alla moda, dal ritratto alla passione per il mondo dell’arte e le figure degli artisti, dal design alla fotografia commerciale: attraversandole penetriamo nella mente di un autore unico, per il quale la fotografia è l’occhio consapevole con cui la società moderna si avventura nella scoperta di sé stessa e, perciò, non conosce barriere di generi né limitazioni di sorta. I curatori, Alberto Salvadori (direttore dell’Archivio Mulas) e Denis Curti (direttore artistico delle Stanze), scrivono che Mulas è un fotografo totale. Aggiungerei, è un fotografo della totalità.

Ugo Mulkas e Milano

Nella Milano dei primi anni ’50 il giovane studente di legge Ugo Mulas fa incontri decisivi in un bar ormai mitico, nel cuore di Brera, a due passi dall’Accademia, il Jamaica: lo frequentano artisti (dai giovani Piero Manzoni e Castellani al celebre Lucio Fontana, onnipresente nume tutelare della metropoli meneghina di quegli anni), poeti e scrittori (Ungaretti, Quasimodo, Bianciardi), intellettuali, giornalisti, personaggi dello spettacolo (da Dario Fo a Mariangela Melato).

È una scuola di libertà e di vita, che Mulas decide di seguire, rinunciando a portare a termine gli studi regolari (non prenderà la laurea) per conservare l’apertura di sguardo e di pensiero maturata in quella bohème, costi quel che costi. Grazie all’amico Mario Dondero, un altro pezzo da novanta della fotografia italiana – cui Palazzo Reale a Milano dedica una mostra retrospettiva –, Ugo prende in mano per la prima volta un apparecchio fotografico: ed è subito passione.

Ugo Mulas, Milano 1953 1954 © Eredi Ugo Mulas. Tutti i diritti riservati / Courtesy Archivio Ugo Mulas, Milano – Galleria Lia Rumma, Milano / Napoli

Dal neorealismo all’arte concettuale

Le prime foto milanesi degli anni ’50 risentono del neorealismo di quegli anni, ma subito se ne distaccano con originalità, come testimoniano le bellissime immagini notturne dei netturbini o quelle della città industriale innevata o ancora Luciano Bianciardi ripreso sul letto con l’immancabile sigaretta accesa, documento privato della familiarità tra lo scrittore maremmano, Mulas e Dondero, affittuari di stanze presso la stessa padrona di casa, come viene ricordato ne La vita agra (1962), il grande e scomodo romanzo su Milano e il suo milieu culturale.

E come un romanziere o un poeta impugnano la macchina da scrivere, così fa Mulas con la macchina fotografica: la fotografia è uno strumento di indagine, un medium culturale, e lo scatto finale il risultato di una riflessione e di una scelta, in una parola, di un’operazione. Ecco spiegati il sottotitolo dell’antologica, L’operazione fotografica, e il motivo per cui, con una scelta impegnativa per il visitatore non esperto, si inizia con la serie delle Verifiche (1968-72), da cui è tratta l’immagine delle 2 mani che apre questo pezzo. In questa serie Mulas si interroga sui fondamenti del linguaggio fotografico, avviando la sua riflessione teorica con Omaggio a Niépce, l’autore della prima fotografia della storia (veduta di Le Gras, 1826), e concludendola con Fine delle Verifiche. Per Marcel Duchamp, nella quale ripropone la stessa immagine dell’Omaggio a Niépce, spezzando la lastra di vetro che custodisce la foto, in un radicale gesto di rottura, a mio avviso affine al taglio operato nella tela da Fontana. Con le Verifiche la fotografia entra nell’arte concettuale, senza però confondersi mai totalmente con essa.

Da reporter a artista

Ma cos’ha trasformato il talentuoso reporter degli anni ’50 in un inquieto fotografo artista degli anni ‘70? La risposta, corsi e ricorsi, passa anche da Venezia: dal 1954 Mulas è infatti sempre presente alle varie edizioni della Biennale, l’arte e la figura degli artisti esercitano su di lui un’attrazione via via crescente e irresistibile, tanto da meritargli ben presto la definizione di fotografo degli artisti. Mulas è testimone e interprete di alcuni dei maggiori eventi di quegli anni, come “Sculture nella città”, la mostra di Spoleto del 1962 in occasione della quale conosce il grande Alexander Calder, cui è dedicata una bellissima sezione in mostra, a testimoniare la duratura amicizia che da quel momento si creò tra i due. O la celebre Vitalità del negativo al Palazzo delle Esposizioni di Roma, curata da Achille Bonito Oliva (1970), sorta di bilancio dell’arte in Italia al momento di passaggio fra anni ’60 e ’70.

Ugo Mulas, New York, 1965 © Eredi Ugo Mulas. Tutti i diritti riservati / Courtesy Archivio Ugo Mulas, Milano – Galleria Lia Rumma, Milano / Napoli

La pop art in Europa

Ma un evento decisivo è l’ingresso trionfale della pop art americana in Europa nella Biennale del 1964, con il premio a Robert Rauschenberg: una svolta epocale e segnale inequivocabile che, anche nel campo delle arti figurative, la leadership è ora degli Stati Uniti. “Nel ’64 sono andato per un qualche mese in America, per una mia necessità. […] si trattava […] di entrare nel mondo dei pittori, e al tempo stesso condividere un momento straordinario, di essere testimone di qualcosa di importante nel momento in cui capitava e si affermava.” commenta Mulas.

Grazie all’appoggio del leggendario gallerista Leo Castelli conosce i nuovi artisti emergenti, da Rauschenberg a Jasper Johns, da Warhol a Lichtenstein a Frank Stella, frequenta gli studi, le feste, li osserva mentre pensano e realizzano le opere. Il frutto splendido di più soggiorni in quel giro d’anni è New York: arte e persone, volume edito nel 1967 da Longanesi, un capolavoro che da un lato fa conoscere la punta avanzata della ricerca internazionale, dall’altro ridefinisce il modo stesso di rappresentare l’arte e gli artisti. Le foto di Mulas sono allo stesso tempo un incontro umano e un atto critico, nel tentativo di penetrare il mistero dell’espressione artistica, come nella bellissima sezione “L’attesa” dedicata a Lucio Fontana, a proposito della quale dice: “Fino a quel momento l’avevo fotografato e basta, ora volevo finalmente riuscire a capire che cosa facesse. […] l’operazione mentale.”

Per Mulas infatti non conta “fotografare e basta”, non ha mai coltivato l’illusione che la fotografia sia uno specchio oggettivo nel quale si riflettono le cose, men meno che esistano momenti decisivi da fermare mentre accadono, perché ogni momento può esserlo: un fotografo dev’essere artista e intellettuale e utilizzare lo sguardo meccanico della macchina come il proprio modo, unico e insostituibile, con cui scoprire e comprendere (provare a comprendere) il mondo.

Ugo Mulas, Eugenio Montale 1970 © Eredi Ugo Mulas. Tutti i diritti riservati / Courtesy Archivio Ugo Mulas, Milano – Galleria Lia Rumma, Milano / Napoli

Ecco perché, a proposito di un altro genere nel quale ha raggiunto risultati eccelsi, dice: “Non c’è ritratto più ritratto di quello dove la persona si mette lì, in posa, consapevole della macchina, e non fa altro che posare.” La famosissima immagine di Montale intento a fissare negli occhi un’upupa, parte del ciclo intitolato Ossi di seppia, la prima raccolta del poeta che contiene appunto la lirica Upupa, ilare uccello…, è una messinscena teatrale che sprigiona un magnetismo indimenticabile: Montale è straordinariamente vero e, al tempo stesso, appartiene a un mondo altro, superiore, sottolineato da quel contorno d’ombra che lo avvolge come un’inquietante aureola notturna.

Le inedite

In chiusura, voglio sottolineare un ulteriore merito della mostra: farci conoscere aspetti poco noti dell’attività multiforme di Mulas, presentando circa una trentina di foto inedite di moda, teatro, lavori commerciali e nudo, estratte dalla straordinaria miniera dell’archivio.

Anche in questi lavori, che non rappresentano il cuore dei suoi interessi, Mulas è capace di andare al di là delle abitudini consolidate, regalando fotografie che si fanno talvolta poesia, nonostante viva questa attività con disincanto e lucidità. Ha scritto infatti: “Ho pensato che, vendersi per vendersi, tanto valeva dichiararlo apertamente, quindi fare un lavoro veramente commerciale, […] ho cominciato a fare delle fotografie di moda e di pubblicità; mi sembrava più onesto.”

Quanto ci manca un Ugo Mulas?

Ugo Mulas, La didascalia. A Man Ray, 1970-1972 © Eredi Ugo Mulas. Tutti i diritti riservati / Courtesy Archivio Ugo Mulas, Milano – Galleria Lia Rumma, Milano / Napoli

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