Madri, la forza di chi lotta anche quando sembra non esserci speranza

Rosetta Ingargiola. Forse questo nome non susciterà in voi alcun ricordo; oppure torneranno in mente le immagini, trasmesse da tutti i Tg nel 2020, in pieno Covid, di una donna incatenata davanti a Palazzo Chigi.

Una madre siciliana mette in conto di poter perdere un figlio in mare, se per vivere fa il pescatore. Rosetta ne ha perso uno, morto durante una battuta di pesca. Mai avrebbe potuto immaginare che l’unico figlio rimasto, Piero Marrone, sarebbe stato sequestrato, con altri 17 pescatori partiti da Mazara del Vallo in una normale giornata di settembre. Gli equipaggi, andati a cercare gamberi al largo, vicino alle coste libiche, sono diventati merce di scambio, forse un bottino da barattare per soddisfare gli interessi del generale Haftar. Il calvario di Rosetta inizia quando si rende conto che il Medinea, di cui il figlio è comandante, non farà rientro a Mazara.

Rosetta quindi parte dalla Sicilia e inizia a presidiare (“mi fido e non mi fido”, dichiarerà) i luoghi dai quali si stringono accordi e si definiscono relazioni diplomatiche. Lo scopo del romanzo, non è però individuare, denunciare una eventuale responsabilità, o negligenza, della politica. Non è la questione delle acque internazionali che vengono invece considerate dalla Libia di propria pertinenza, o ciò che le istituzioni potrebbero fare per regolare una volta per tutte la pesca nel Mediterraneo.

L’intenzione di Giuseppe Ciulla e Catia Catania è di arrivare al cuore della notizia e raccontare la storia delle famiglie coinvolte in questa triste vicenda. Ed è proprio questo il filo conduttore, il cui capo è in mano a Rosetta, e idealmente a tutte le donne, mogli e madri di pescatori: un percorso fatto di perdite, di figli e mariti, morti in mare. Figli e mariti che partono di notte, si spingono fino quasi alle coste libiche, così vicine alla Sicilia, eppure così lontane, separate da ordinanze e territorialità che mettono a rischio l’incolumità di chi vi si trova a contatto, e mogli, madri che aspettano, pazienti, scrutando l’orizzonte.

Il romanzo si apre con un verbale:
“Mazara del Vallo, 30 marzo 2021 – Il paziente racconta di essere stato sequestrato giorno 1 settembre dalla Guardia costiera libica assieme ad altri 17 marinai membri di un motopeschereccio, mentre si trovava in acque internazionali per lavoro. La prigionia è durata 108 giorni, durante i quali è stato spostato attraverso quattro carceri.
Durante la prima carcerazione è stato frustato anche al volto e ha riportato lesioni alla retina dell’occhio destro…”.

Un documento, concreto e scarno, da cui partire, così come riportano le cronache, per poi andare avanti e indietro nel tempo, tra gli anni Cinquanta, Sessanta e Settanta (a cui sono dedicati pochi e densi capitoli) e i 180 giorni del sequestro (settembre-dicembre 2020).

Gli autori hanno raccolto nel tempo le testimonianze di Piero, Rosetta e degli altri pescatori sequestrati; ne è nato un diario che tocca le varie fasi della prigionia dei pescatori, crudo, serrato, e accompagna le emozioni di chi si trova dall’altro lato del mare e sembra abbandonato al proprio destino, nonostante le rassicurazioni quotidiane che vengono dalle istituzioni.

“Col passare dei giorni, nella cella nera smettono di parlare. Nessuno ne ha più voglia. Il morale è sempre più cupo e i due capitani sono preoccupati per la tenuta psicologica del gruppo.
Anche nella cella nera, a sera inoltrata, come a El Kuefia, arrivano urla e lamenti di detenuti torturati. […] Il sistema purtroppo è sempre lo stesso: i detenuti vengono fatti correre in cerchio e ogni tanto picchiati con bastoni o tubi.
A poco a poco, scema anche il terrore, diventa distacco, quasi fastidio. I mazaresi si tirano le coperte sulle spalle e si chiudono in un bozzolo”.

A vigilare da “questo lato del mare”, affinché tutto si risolva in fretta e i pescatori tornino a casa, c’è appunto Rosetta, che non teme rifiuti, pioggia, stanchezza e rimane ferma a chiedere giustizia. E il lettore non può fare a meno di pensare a cosa sarebbe successo se una donna ormai anziana non avesse scelto di partire, muoversi, far sentire la sua voce alle istituzioni, che troppo spesso appaiono sorde o impotenti.

“La cala” (Bompiani, 2021) è una storia che narra del limite oltre il quale l’uomo difficilmente si spinge, sia nell’esercizio della crudeltà che nella capacità di lottare per sopravvivere, o per le persone che ama, e trovare le risorse nonostante tutto. È la storia di una madre che non perde neanche per un attimo la speranza, nonostante il mare le abbia già tolto quanto di più importante aveva. Una storia di resistenza, psicologica, fisica, che va anche al di là della resilienza, e racconta dell’attaccamento alla vita, nonostante l’ingiustizia, il dolore, la speranza che vacilla, la perdita.

Questo libro ha ricevuto il secondo premio “Piersanti Mattarella” nella sezione Giornalismo di inchiesta nel 2022.

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Titolo: “La Cala. Cento giorni nelle prigioni libiche”
Autori: Giuseppe Ciulla e Catia Catania
Editore: Bompiani, 2021
Prezzo: 17 euro

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