Il 20 novembre 1989 la Convenzione Internazionale sui diritti dell’infanzia venne approvata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, a New York. Una data storica, un punto d’arrivo importante che diventa anche punto di partenza, da cui prendere spunto e riflettere sulle molteplici difficoltà in cui versano ancora migliaia di bambini in tutto il mondo. Diritto alla vita, alla sopravvivenza, allo sviluppo. Diritto al gioco, all’assistenza fisica e morale, diritto alla non discriminazione. Diritto alla salute, all’ascolto, all’espressione. Diritto ad avere una casa, un’educazione. Diritto allo studio.
“Gli Stati riconoscono il diritto del fanciullo all’educazione, ed in particolare, all’esercizio di tale diritto gratuitamente e in base all’uguaglianza delle possibilità” recita l’art. 28 della Convenzione Internazionale. Si, l’educazione è un diritto. Ed è un diritto anche l’uguaglianza, intesa come equità. Diversi punti di partenza, stesse possibilità di riuscita. Il diritto non è inteso, infatti, solo come “obbligo scolastico”, ma proprio come possibilità di manifestare la propria personalità nei diversi aspetti della vita, come capacità di formarsi come persone consapevoli, di sviluppare le proprie potenzialità, di distinguersi in quanto esseri unici e differenti.
La straordinaria forza dell’istruzione e dell’educazione risiede proprio nell’ essere un processo infinito, in costante evoluzione, che accompagna i bambini e le bambine verso un percorso di affermazione personale e sociale, permettendo di raggiungere dei traguardi di sviluppo che rendono la persona, un cittadino, un uomo o una donna consapevoli del mondo che li circonda e, quindi, liberi. Purtroppo, quella che dovrebbe essere la strada privilegiata di ogni bambino, incontra sempre più ostacoli che rendono faticoso il percorso formativo: difficoltà di tipo economico, svantaggio sociale, disagio familiare e psicologico, discriminazione razziale e religiosa, possono produrre fenomeni come dispersione scolastica e abbandono degli studi.
Si parla oggi di povertà educativa, un fenomeno in crescente ascesa, che va di pari passo con la povertà economica, ma anche con situazioni di disagio sociale che non permettono ai bambini e alle bambine di crescere in un ambiente stimolante, capace di sostegno nelle fasi di sviluppo e crescita e precludendo la possibilità di cambiare la posizione di partenza , risultando altamente disfunzionali per il benessere emotivo e psicologico.
Secondo “Save di Children” , infatti, oltre agli aspetti materiali, sono altrettanto importanti le opportunità di crescita educativa, fisica, socio-emozionale. Le recenti vicende, legate alla pandemia di Covid-19, hanno incrementato notevolmente il rischio di perdita in termini di sviluppo cognitivo ed emotivo nei bambini e nelle bambine, soprattutto in coloro che provengono da contesti svantaggiati. In Italia, un milione di minori è a rischio povertà educativa e, secondo i dati pubblicati da Save the Children, un minore su sette lascia prematuramente gli studi. Si tratta, spesso, di un tipo di povertà nascosta, meno visibile perché produce effetti non immediati, ma davvero preoccupanti, perché genera ragazzi disconnessi culturalmente, che non hanno la possibilità di esprimere le proprie potenzialità e di scoprire i propri talenti. Sono ragazzi e ragazze che non vedono possibile l’attuazione di un loro diritto: quello di incrementare le proprie competenze, di frequentare attività ricreative, di accedere ad eventi culturali, spettacoli teatrali o cinema.
“Non uno di meno” diceva Don Milani, di Barbiana, e si riferiva agli studenti esclusi, a coloro che erano senza mezzi e che richiava di perdere. Oggi, a distanza di anni, la drammaticità della povertà educativa continua ad esistere e non riguarda l’analfabetismo. Oggi occorre lottare per colmare la carenza di competenze di base, derivate da un disagio sociale ed economico più “nascosto”, spesso non raccontato, che però non consente a ciascun bambino di esercitare il diritto di scoprire se stesso e coltivare le sue passioni. La scuola, insieme agli enti locali e al terzo settore, deve occuparsi soprattutto di creare ambienti inclusivi, in cui ciascuno possa sentirsi valorizzato, in cui ogni alunno e ogni alunna possa trovare gli stimoli che gli consentano di ampliare le competenze, di diventando così protagonista consapevole del proprio percorso formativo.
La povertà educativa è una gabbia sociale e si trasforma in chiusura affettiva, in impoverimento emotivo; essa non permette di accedere al sapere, che è la chiave per uscire dalla condizione di debolezza della mente.
Un’offerta educativa di qualità potrebbe senza dubbio, aiutare ad interrompere o ad attutire il cortocircuito e ad impedire che esso possa tramandarsi alle future generazioni. Il luogo fisico delle scuole può diventare mediatore fondamentale, può e deve avere un impatto importante sul benessere emotivo e sulle dinamiche sociali dei bambini e delle bambine. Occorre, però, colmare i gap esistenti nel sistema scolastico, fornendo servizi e risorse aggiuntive, inclusive, soprattutto nei territori dove si concentra maggiormente la privazione materiale e socio-educativa, in modo da agganciare i bisogni dei minori che vivono una quotidianità difficile.
“Non uno di meno” , per attuare e rendere possibile per tutti e tutte il diritto all’educazione e all’apprendimento, perché siamo custodi del futuro dei nostri bambini e delle nostre bambine.
Perchè il loro futuro è nei loro sogni e nelle nostre mani.
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