Brexit e Covid. Un mix non da poco per la capitale britannica, che sta vivendo un periodo di radicale cambiamento. I numeri possono aiutare a capire la transizione di un Paese, che sta affrontando due situazioni complesse.
Circa 1,3 milioni di stranieri hanno lasciato il Regno Unito durante la pandemia e più di metà risiedevano a Londra. Questa la stima di un ente di ricerca inglese, l’Economics Statistics Centre of Excellence (ESCoE), che ha analizzato dati dell’ufficio nazionale di statistica (ONS) notando un’incongruenza all’interno di uno studio sul tasso di occupazione. Un’anomalia attuariale ha rivelato l’altra faccia della crisi per la capitale europea che, prima di Brexit, continuava ad attrarre più stranieri di quanti residenti perdesse in emigrazione.
Tutto è nato da questo numero: nonostante la profonda recessione causata delle restrizioni imposte dal virus, l’ONS ha riportato un incremento del 10% del numero di cittadini Britannici a Londra che dichiarano di avere un lavoro. Secondo lo studio, tra il penultimo trimestre del 2019 e il periodo corrispettivo del 2020, in un contesto di crisi economica, il tasso di occupazione degli inglesi sarebbe aumentato. È un dato poco plausibile, considerando soprattutto la grande presenza nella capitale di attività di ristorazione, intrattenimento, arte e turismo – tutte colpite in modo particolarmente duro e repentino dai lockdown.
L’ESCoE ha concluso, infatti, che l’aumento di occupazione tra gli autoctoni è dovuto al peso statistico dato a questo gruppo all’interno del campione analizzato. Le risposte degli inglesi hanno ricevuto un peso sproporzionato nella survey perché chi conduce questi studi gli stranieri non li ha proprio trovati. Hanno lasciato Londra.
In mancanza di altre stime ufficiali – l’International Passenger Survey condotto in aeroporti, porti, terminal dell’Eurostar, è stato interrotto a Marzo 2020 a causa della pandemia – l’ESCoE ha ricalibrato i dati dell’ONS sull’occupazione e dedotto dai numeri dei britannici che hanno partecipato al questionario la dimensione del vuoto lasciato dagli stranieri.
Che siano stati 700.000 ad abbandonare Londra, intuitivamente, non sorprende. Circa il 37% dei 9 milioni che vivono (o vivevano) nella metropoli sono nati all’estero, secondo dati ufficiali del 2019. Londra tipicamente attrae più di un terzo dell’immigrazione del Regno Unito. Ma senza reddito o prospettive di lavoro, e con affitti salati da pagare, rientrare nei propri Paesi d’origine sembra una decisione logica, anche per gli studenti per cui lezioni e vita universitaria si sono trasferiti su piattaforme online. Nonché per chi può svolgere il proprio lavoro da remoto.
Non sono solo baristi, camerieri o muratori a trovare nel proprio Paese d’origine una vita migliore – o meno cara e più piacevole – viste le condizioni della nuova realtà. Nel mio personalissimo campione statistico, riporto anch’io casi di chi ha scelto, almeno temporaneamente, di rientrare a ‘casa’. In Italia soprattutto in Campania, Abruzzo, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia.
E c’è anche chi ha deciso di concludere definitivamente la propria avventura oltre Manica – come Miriam, una delle mie storiche ragazze alla pari. Preoccupata per la famiglia in Italia, senza potersi muovere liberamente per andare a visitarla, né per visitare e godere di quello che offre Londra, a dicembre Miriam si è licenziata da un lavoro che le piaceva ed è rientrata a Spinea, in provincia di Venezia, dopo 4 anni nella metropoli inglese. Un piccolo esempio di cambio di rotta, che può essere emblematico di una tendenza che potrebbe affermarsi più fortemente nel prossimo futuro.
Oltre ad aver colpito la salute pubblica e l’economia, il virus ha spento le luci di Londra. E per chi vorrà tornare in cerca di fortuna, la strada sarà più ardua. Dopo Covid, rimarrà Brexit.