Smartworking, la tecnologia è pronta e noi lo siamo?

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Photo by Kristin Wilson on Unsplash

La tecnologia è il mezzo che può permetterci relazioni lavorative anche a distanza. Ma le persone erano e sono pronte a tutte queste opportunità offerte dalla tecnologia? Capi e collaboratori, clienti e fornitori hanno realmente saputo vivere al meglio questo periodo?

Chi come me lavora nel settore delle risorse umane, ha vissuto un momento eccezionale e ricchissimo dal punto di vista dell’osservazione, della ricerca e della possibilità generativa, ma molto difficile nel poter realmente aiutare le persone.

La pandemia è stata portatrice di stress e reattività che a loro volta hanno generato un aumento delle possibili situazioni conflittuali. Noi italiani, inoltre, abbiamo la caratteristica di vivere molto spesso la personalizzazione del feedback negativo, trasformando spunti e confronti in conflitti e affronti personali.

Tutto questo avviene già quando la dinamica relazionale è in presenza, figuriamoci quando ci troviamo a confrontarci in un contesto al quale non siamo abituati. Anche i semplici, ma illuminanti, consigli che Giulio Cesare ci forniva nel “De bello Gallico” per gestire situazioni conflittuali – non mettersi sullo stesso piano, chiedere il perché delle critiche o della discussione, sollecitare consigli, trovare soluzioni, volare alto non cadendo alla tentazione di rispondere con un muro contro muro – appaiono suggerimenti irrealizzabili e lontani anni luce dal contesto.

Le critiche calde e dirette sono probabilmente le più semplici da gestire, è molto più pericoloso e difficile avere relazioni di lavoro con chi non parla e non si espone. Purtroppo, la distanza nata nel periodo di “remote working” è stata colmata in toto da un punto di vista “tecnologico”, ma è ancora molto accentuata nelle relazioni e nelle dinamiche tra persone. I conflitti sono spesso diventati freddi e nascosti e le persone, senza la possibilità di un confronto diretto, tendono a tenere per sé difficoltà e rabbia innalzando i propri livelli di stress.

Il problema appare molto simile a quello di “un cane che si morde la coda”: al crescere dello stress da mancanza di confronto reale, le soluzioni sono quelle fiorite nella pandemia. Migliorano il modo di mangiare, rilassarsi e meditare ma non permettono alla gente di risolvere la conflittualità online; e così, al confronto successivo, per quanto calmi e ben nutriti ci si arrivi, le problematiche sono ancora lì, soltanto sopite dal relax ricercato.

Ci manca il lavorare in presenza, ci manca quel sano confronto che permette non soltanto di risolvere i conflitti, ma anche di creare coinvolgimento e passione per il lavoro che stiamo svolgendo.

Ci manca il parlare vis a vis con chi può emozionarci con la gestualità di una conversazione, ci manca la strategia condivisa alla macchinetta del caffè e ci mancano le discussioni a pranzo che si chiariscono senza diventare conflitti.

I confronti estivi legati al passato e alle esperienze sportive mi hanno poi portato a riflettere su un tema molto caldo: i giovani. Ripensavo al fascino dei primi anni di serie A, errano gli anni ’90. L’Italia della pallanuoto aveva vinto Olimpiadi, Mondiali ed Europei. Arrivando in spogliatoio vedevo i miei compagni di squadra che avevano vinto medaglie di tutti i colori nelle maggiori competizioni terrestri. Quanto era facile lasciarsi trainare da loro? Quanto era bello averli in acqua al mio fianco? Quanto sapevo di poter imparare da loro?

Ma chi entra oggi in azienda? Proprio loro, i giovani, che sembrano i più facilitati da una situazione digitale all’interno della quale si sentono “nativi”, hanno invece vissuto un periodo in cui non hanno potuto avere al fianco colleghi più esperti che li trainassero nel fascino delle tradizioni aziendali. Non hanno potuto vivere l’emozione della visita ai clienti o fruire dell’esperienza portata dai fornitori, non hanno in questi mesi potuto sentire l’affascinante suono della produzione. Tutto questo ha ridotto il loro coinvolgimento, diminuito la loro motivazione e rallentato la loro voglia e possibilità di apprendere sul campo.

Qualcuno di loro non è neanche consapevole di ciò che si è perso, perché se non hai provato a giocare al fianco di un campione o ad andare in trasferta nel “Tempio” del tuo sport, non immagini quanto potente e affascinante questo possa essere.

E allora, proprio per questi motivi, noi tutti abbiamo il dovere di remare nella stessa direzione per poter tornare a incontrarci, a regalare motivazione ai ragazzi e a risolvere vis a vis i conflitti… lo dobbiamo a tutti noi e al fascino delle relazioni faccia a faccia!