Fino a quando le donne italiane dovranno sobbarcarsi i problemi senza vedere riconosciuti i propri sacrifici? Fino a quando accetteranno di essere ricacciate indietro nel momento in cui si tratta di decidere? E fino a quando tollereranno di vedersi passare davanti uomini che vantano maggiori meriti che spesso non hanno?
Queste domande nascono dal diffuso malcontento che serpeggia oggi tra le tante donne italiane che non sono più disposte a essere dei fantasmi in un Paese che si ostina a non volerle vedere come protagoniste a pieno titolo del presente e del futuro.
È sotto gli occhi di tutti che nella crisi del Coronavirus sono state fin da subito le donne ad agire in prima linea nei laboratori di ricerca, nelle corsie degli ospedali, nell’insegnamento a distanza, nelle farmacie, nell’assistenza agli anziani, nei supermercati, nelle famiglie. Un ruolo primario svolto con determinazione che ha notevolmente contribuito alla tenuta del sistema.
Eppure tutto questo non ottiene alcun riconoscimento sociale. Se poi si devono mettere insieme figure autorevoli che possono adoperarsi nel fronteggiare le sfide che avremo davanti nei prossimi tempi, le donne non ci sono più o appaiono in minima parte. Perché?
Così come a essere ringraziati e omaggiati pubblicamente sono soltanto gli uomini: ricercatori, scienziati, medici, insegnanti. E quando si tratta di fare le nomine di amministratori delegati delle grandi aziende partecipate, il governo continua a indicare solo uomini. Perché?
Questo e altri temi erano anche stati al centro di un incontro che una delegazione di deputate dell’Intergruppo per i diritti delle donne, di cui sono promotrice, aveva avuto a inizio marzo con il presidente Giuseppe Conte. Nel corso del colloquio, avvenuto alla presenza della ministra Elena Bonetti, avevamo chiesto al capo del governo di mettere in atto delle misure più incisive per colmare il grave ritardo dell’Italia in merito alla parità fra uomini e donne. Avevamo pure fatto presente che per i vertici delle aziende partecipate non si potevano più ignorare le tante competenze femminili.
Nessuno può dire che mancano donne con profili adeguati senza rendersi ridicolo. Dunque è evidente che, malgrado quanto prescritto dalla nostra Costituzione, si continua a privilegiare la promozione pressoché assoluta degli uomini in ogni campo: dalla politica alla scienza, dai ruoli apicali alla composizione di commissioni di esperti e in tutti quei luoghi dove si prendono decisioni.
Ci rendiamo conto o no che questo significa impoverire la società e minare la democrazia?
Nei giorni scorsi si sono susseguiti appelli di comitati, di sindacati, di donne impegnate nel sociale che richiedono ad alta voce una rappresentanza paritaria. Alcune associazioni hanno organizzato campagne di sensibilizzazione, altre hanno lanciato petizioni. Quattrocento si sono rivolte direttamente al Presidente della Repubblica, così come scienziate, accademiche e ricercatrici hanno firmato un appello per chiedere adeguata rappresentanza nelle commissioni nominate dal governo.
Questo stato di cose dimostra un’insostenibile arretratezza culturale, sociale e politica. Quanto sta emergendo non è certo lusinghiero né per il governo né per i partiti, che continuano a non tenere nel giusto conto le competenze femminili.
I partiti, chi più chi meno, non considerano le politiche di genere centrali nell’agenda politica. È la solita storia: a parole sono tutti d’accordo nel dire che bisogna valorizzare il ruolo delle donne nella società, ma poi «sono ben altre» le questioni importanti per cui spendersi.
Ecco perché, insieme ad altre quarantadue deputate, ho depositato un’interrogazione parlamentare per sapere dal governo come intenda procedere per rispettare i principi costituzionali dell’uguaglianza e della parità, così da valorizzare le tante figure femminili che in questi anni si sono distinte per autorevolezza e competenza. Il nostro è un Paese ricco di scienziate, economiste, imprenditrici, manager e donne qualificate che vanno coinvolte sia nei ruoli chiave creati per l’emergenza Covid sia in altri.
L’Italia non può continuare a essere «un club per soli uomini». Non possiamo permetterci passi indietro sulla strada della parità di genere perché, fra l’altro, vale diversi punti di Pil. Siamo tutte e tutti chiamati adesso a scelte lungimiranti e ad assumerci le nostre responsabilità passando dalle parole ai fatti, per dare alle donne ciò che è delle donne. Quando si affronteranno le nomine di pertinenza parlamentare, come quelle per le authority, se non ci sarà una significativa presenza femminile non ci sarà neanche il mio voto. E sono certa che in questa scelta non sarò sola.