Violenza economica, la faccia subdola della violenza sulle donne

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Marina (nome di fantasia), oggi cinquantenne, al momento del matrimonio, svariati anni fa, si fida e si affida completamente al marito. Sceglie, seppur a malincuore, di interrompere gli studi per dedicarsi in maniera assoluta a essere una buona moglie e, poco dopo, una buona madre. Inconsapevolmente vittima di una cultura radicata nella società, affida all’uomo che ha scelto anche il patrimonio di famiglia. Il marito cioè gestisce il suo conto corrente, che diventa comune, la villa che ha bisogno di manutenzione e tutta un’altra serie di attività e compiti che nella concezione patriarcale sono classificate come “robe da uomini”. Il marito, di lì a poco, decide di avviare un’attività, intestandola a lei per ragioni fiscali. Marina si fida ancora una volta, firma prestiti e assegni. Oberata dai debiti, colpevolizzata dal marito, decide alla fine di separarsi, l’unico modo per non soccombere e cercare di rialzarsi. La storia di Marina è una delle tante raccolte allo sportello di Mia Economia, avviato un anno fa dalla Fondazione Pangea Onlus con il progetto Reama, la rete per l’empowerment e l’auto mutuo aiuto per le donne che vivono la violenza. “Tra le varie forme di controllo e assoggettamento – commenta Simona Lanzoni, vice presidente di Pangea Onlus – abbiamo voluto focalizzare la nostra attenzione su una forma di violenza di cui si parla poco ma che risulta altrettanto grave proprio perché subdola: quella economica”.

Per l’indipendenza economica progetti concreti
La stessa Convenzione di Istanbul sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, ratificata dall’Italia nel 2013, riconosce la violenza economica tra le forme di violenza da contrastare. Tra le vittime ci sono donne di ogni età e di ogni ceto sociale; la spirale in cui cadono le porta a indebitarsi, a non avere liquidità, fino ad arrivare a vivere di stenti, a non poter mandare i figli all’università e non poter acquistare loro da mangiare o da vestire. I comportamenti degli uomini che perpetrano la violenza economica  non solo generano una forma di controllo che impedisce l’indipendenza della donna ma creano anche uno stato di soggezione. Le stesse ministre Catalfo e Bonetti, in occasione della giornata internazionale del 25 novembre, hanno riconosciuto la centralità e l’importanza di contrastare la violenza economica e di lavorare per l’autonomia delle donne. “Bisogna intervenire – ha detto Nunzia Catalfo, ministra del Lavoro – rafforzando quelle azioni che permettano l’autonomia lavorativa delle donne al fine di neutralizzare il fenomeno della violenza economica perpetrata nei loro confronti. A questo proposito, è allo studio una serie di interventi da portare avanti in accordo con le Regioni come per esempio quello sulla formazione mirata per l’inserimento lavorativo”. “Il tema della violenza economica e dell’empowerment lavorativo – le ha fatto eco la ministra per le Pari opportunità e la famiglia, Elena Bonetti – è cruciale”. In particolare Bonetti ha annunciato la volontà di “sperimentare un progetto di microcredito per vittime di violenza. Investiremo un milione di euro per il dopo violenza”.

Lo sportello “Mia Economia” di Fondazione Pangea Onlus
Ad un anno dall’avvio di “Mia Economia” sono oltre 50 le donne che si sono presentate allo sportello. Tutte riconoscono di aver vissuto già altre forme di violenza quale stalking, violenza fisica, sessuale e soprattutto psicologica. “La consapevolezza rispetto alla violenza economica arriva strada facendo – prosegue Simona Lanzoni –, in un lungo e complicato percorso di presa di coscienza del vuoto che l’uomo le ha creato intorno, magari allontanandola dal lavoro, fino a renderla dipendente economicamente. Sono le donne, durante i colloqui, a raccontarci come hanno iniziato lentamente a sentirsi sopraffatte. Prima psicologicamente e poi economicamente quando l’autore di violenza ha iniziato a entrare nelle loro tasche, nei portafogli, negli stipendi, nei conti correnti, nelle loro eredità, con il solo scopo di controllarle ed esercitare su di loro un abuso di potere”.

Tra le donne prese in carico, sei avevano un proprio reddito che però veniva controllato esclusivamente dal marito, tutte le altre dipendevano economicamente dal partner. Nei casi di separazione, 16 donne pur avendo diritto all’assegno di mantenimento non lo ricevevano anche in presenza i figli, che quindi pativano insieme alla madre degli effetti della violenza economica. Altre 46 donne hanno dichiarato di avere beni in condivisione con il partner (casa, conto corrente o altro), 11 donne hanno riscontrato di avere beni intestati senza poterne usufruire o si sono fatte utilizzare per fare da copertura per società o aziende, e 14 sono risultate morose senza esserne a conoscenza.

  • Franca |

    La violenza economica avviene anche al di fuori della famiglia, vittime perseguitate

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