Novembre 2014, cinque anni che sembrano un secolo fa. Zerocalcare nel suo “Kobane calling”: «Noi donne curde abbiamo abolito i matrimoni combinati, insegnavamo la libertà». «E cosa rappresenta per voi lo scontro con l’Isis, l’oppressione religiosa..». «Aspetta. La religione non c’entra. Noi siamo musulmane. Sono quelli dell’Isis a non essere musulmani». Ecco, è tutto racchiuso qui, il femminismo delle soldatesse curde che combattono per l’indipendenza del loro popolo. Un femminismo islamico. Chi l’ha detto che le due cose non vanno d’accordo?
Domenica scorsa Lucia Annunziata si è commossa in diretta, annunciando l’assassinio di Hevrin Khalaf, segretaria del Partito del Futuro. Nemmeno quarant’anni, curda, paladina delle libertà civili e dei diritti delle donne. Violentata e lapidata dai filo-turchi, gli stessi che oggi hanno riversato sulle strade 275mila profughi curdi in cerca di rifugio. Gli stessi che un’Europa stitica fa fatica a condannare come si deve. Hevrin è solo una delle tante donne curde che hanno imbracciato il fucile per difendere la propria famiglia, i propri figli, i propri padri, i propri uomini. Yekîneyên Parastina Jin (YPJ), la chiamano: è la brigata femminile delle milizie curde, la principale forza armata del territorio autonomo del Rojava ora in dissolvenza.
Donne coraggiose: non solo perché imbracciano le armi, ma perché da musulmane portano avanti il concetto di parità tra uomo e donna senza vedere nessuna contraddizione tra la religione islamica e appunto questa parità. Sembra semplice, e invece è rivoluzionario.
Qualcuna di loro combatte perché gli uomini che combattevano al posto loro non ci sono più. Qualcun altra ha scelto la via della lotta a prescindere da qualsiasi eredità morale. Ed Hevrin non è l’unica ad aver pagato questa scelta con la vita. Prima di lei c’è stata Asia Ramazan Antar, aveva 22 anni e combatteva contro il califfato. La chiamavano l’Angelina Jolie del Rojava, da quanto era bella. E prima ancora c’era Ayse Deniz Karacagil, più nota come ‘Cappuccio Rosso‘, scomparsa nell’estate del 2017 a Raqqa.
Hevrin e le altre. Asia e le soldatesse. Quante donne coraggiose ancora sacrificheremo sull’altare degli equilibri geostrategici del Medioriente? Le mie lacrime si uniscono a quelle di chi trova la loro morte insopportabile. E maledetto sia chi sta uccidendo il femminismo curdo.
A Hevrin.