«Banca Etica rappresenta un unicum: una cooperativa una testa un voto che sviluppa dinamiche associative con i suoi soci. La sua forza è quella di un progetto collettivo. La sfida oggi è aprirsi, sviluppare sempre di più partenariati significativi, contaminare altri soggetti. E puntare al futuro: i giovani, l’empowerment femminile e l’inclusione finanziaria contro ogni forma di violenza economica sulle donne, l’economia circolare, il tema climatico».
Anna Fasano, friulana classe 1974, è la prima donna a presiedere la banca, succede a Ugo Biggeri dall’assemblea del 18 maggio, che ha approvato un bilancio 2018 di tutto rispetto: un utile di 3,28 milioni di euro, una raccolta diretta in crescita del 12,9% rispetto al 2017 a quota 1,5 miliardi e una raccolta indiretta di 670 milioni (+5,2%). Con crediti deteriorati e sofferenze nette in calo.
Lei siede nel Cda di Banca Etica dal 2010. Pensa che in questi anni abbiate vinto la scommessa di rivoluzionare la finanza?
Stiamo sicuramente facendo la differenza sul sistema bancario e finanziario nazionale e non solo, perché siamo presenti in Italia e in Spagna. In questi nove anni ci sono state tante accelerazioni. Una su tutte: il tema della finanza etica è stato riconosciuto all’interno del Testo unico bancario, grazie a un percorso che abbiamo intrapreso con i partner e i soci di riferimento, cioè le realtà che hanno dato vita a Banca etica e continuano il percorso di sviluppo della finanza etica insieme a noi. Certo è che le sfide che dobbiamo cogliere oggi sono diverse rispetto a quelle che ci si trovava ad affrontare vent’anni fa. Dobbiamo sviluppare sempre di più partenariati significativi, ovviamente scegliendo le realtà che condividono valori e percorsi, però è importante riuscire a contaminare anche altri soggetti, altrimenti quell’accelerazione che abbiamo avuto negli ultimi anni non riuscirà a essere leva per i prossimi, che sono unici, alla luce delle scelte che come finanza dovremo assumere nei prossimi 2-3 anni, altrimenti sarà tardi.
Quali sono le sfide da cogliere?
Mi riferisco in particolar modo al tema climatico, ma non solo. Dobbiamo avere una spinta propulsiva verso: andare a cercare, innanzitutto i giovani, là dove ci sono le necessità e le idee per costruire insieme a loro il futuro. Sono esposti a mille sollecitazioni, ma le proposte concrete sono poche. Credo che alcune, come quelle dell’economia circolare e del creare nuovi lavori tenendo conto dell’impatto sociale e ambientale di ciò che facciamo, siano non solo il messaggio ma lo spazio su cui costruire con i giovani elementi di novità. È una richiesta che ci è stata fatta anche durante l’ultima assemblea: il coraggio di uscire da alcuni spazi in cui siamo presenti da tempo e siamo magari anche forti per sperimentare nuove modalità. L’economia circolare può essere una di queste, perché è una delle svolte, delle chiavi di lettura del nuovo modo di fare impresa.
Nel suo primo editoriale da presidente ha promesso un particolare impegno per i progetti che si occupano di empowerment femminile. A cosa pensa?
Noi lavoriamo da sempre per l’inclusione finanziaria, tra l’altro dei soggetti più fragili. Anche in Italia le donne, pur avendo dimostrato di essere soggetti più in grado di gestire il risparmio, di avere maggiore capacità di analisi e di essere più prudenti, alla fine sono quelle maggiormente penalizzate sia nell’accesso al credito che nell’inclusione finanziaria generale. L’ultima fotografia scattata dal Cnel al Festival dello sviluppo sostenibile racconta che una donna su due ha subito una forma di violenza economica e che al 17% delle lavoratrici è impedito di avere un conto in banca. In alcuni contesti territoriali più complessi, penso al Sud, è necessario riuscire ad arrivare in modalità diverse rispetto a quelle della finanza tradizionale, nel senso anche della gestione e dell’operatività. Il digitale può fare veramente da ponte importante. Dobbiamo però spingere e incentivare maggiormente da un lato le imprese che prestano attenzione alle pari opportunità e che nella propria governance e nelle proprie policy ne tengono conto, e dall’altro il protagonismo femminile, a cui dobbiamo dare spazio.
Il Terzo settore sembra sotto attacco. Che cosa vede dal suo osservatorio privilegiato?
La riforma del 2016 ha affrontato uno dei nodi, il rischio un annacquamento identitario da parte del Terzo settore in generale, e dà l’opportunità di fare una riflessione rispetto alle nuove sfide a cui bisogna rispondere: non colmare un’incapacità del pubblico sul tema sociosanitario o sull’inclusione sociale, ma riacquistare la linfa vitale iniziale per essere soggetto di proposta rispetto alle varie progettualità. Il tema dei migranti sicuramente ha messo sotto attacco tutto il Terzo settore indistintamente, mettendo nelle sue mani, con le sue fragilità, la scelta di accettare progettualità meno rispettose della dignità delle persone. Ognuno ha preso la decisione che in quel momento riteneva giusta, dovendo calibrare mantenimento dei posti di lavoro e anche accoglienze avviate, ma con il rischio di crisi identitarie e di visione da parte delle varie realtà cooperative e associazioni.
Ha fatto discutere la notizia che Banca Etica ha finanziato la Ong Mediterranea per l’acquisto della nave Mare Jonio…
Il nostro compito è non scendere dalla barca in un momento di difficoltà e di mare agitato, ma insieme alle varie realtà dobbiamo capire come affrontare il futuro. Non lo si può fare con le singole cooperative. È necessario farlo con le alleanze, con le realtà che possono guidare veramente un cambiamento e un messaggio anche forte. Noi l’abbiamo fatto con alcune scelte importanti come questa e l’assemblea ha riconfermato che il diritto alla vita e l’impegno di Banca Etica a fianco di tutte le realtà che con correttezza, nella legalità, e però avendo attenzione alla vita e alla dignità delle persone che vengono accolte, è importante non solo strategicamente ma con finanziamenti che dimostrano che queste scelte sono realmente sostenibili. Perché questi prestiti vengono restituiti.
Dal punto di vista normativo che cosa manca alla finanza etica?
A livello nazionale abbiamo ottenuto che entrasse nel Testo unico bancario, ma mancano i decreti attuativi, ovvero gli strumenti realmente incentivanti. A livello europeo, invece, è vero che si sta sviluppando un’attenzione molto elevata alla finanza “green”, sostenibile, ma si sta creando parallelamente anche una grande confusione. È quindi importante costruire sistemi di misurazione che siano l’elemento su cui incentivare e promuovere anche la finanza etica e gli investimenti sostenibili. Pure la legge sul Terzo settore parla di impatto sociale, ma poi non lo misura. Servirebbero poi altre riforme: la distinzione tra banche d’investimento e banche commerciali, la possibilità di supportare maggiormente i finanziamenti a tipologie di imprese sociali, riducendo l’assorbimento di capitale da parte delle banche. Non siamo i soli a porre queste sollecitazioni. Tutto il mondo del credito cooperativo lo fa insieme a noi.