Avvocatura, le donne guadagnano meno e hanno meno rappresentanza nei consigli

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Mai una donna così in alto. Maria Masi, avvocata dell’Ordine di Nola, è stata eletta qualche settimana fa vicepresidente dell’appena rinnovato Consiglio Nazionale Forense. Un risultato storico. Per la prima volta dal 1926 una donna occupa una della cariche più importanti di questa istituzione. Le avvocate in Italia hanno ormai conquistato la parità numerica. Sono il 47,8%, ma la percentuale non basta a fotografare la professione. Prendiamo, ad esempio, i consigli degli ordini circondariali degli avvocati: le donne ai vertici sono ancora poche, le cariche più importanti sono in larga parte appannaggio degli uomini. Le donne presidenti dei consigli sono 27 su 140 (numeri ricavati dai siti online dei singoli ordini presenti nel portale CNF). Dati parziali perché è arrivata una proroga fino a luglio 2019 per il rinnovo dei consigli che hanno terminato il mandato il 31 dicembre dell’anno scorso. Tutti entro l’estate saranno rinnovati. Le consigliere vicepresidenti sono 17, le tesoriere 53, mentre le segretarie sono 48.

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Ilaria Li Vigni

Per quanto riguarda le consigliere ordinarie, grazie alla legge 247/2012 che garantisce l’equilibrio di genere, il loro numero è aumentato in modo significativo. L’avvocatura è stata tra le prime categorie ad inserire le quote nelle competizioni elettorali. «A Milano abbiamo appena eletto un consiglio formato da 10 donne e 11 uomini. Il presidente è un uomo, ma abbiamo una vicepresidente, una tesoriera e una segretaria. Il sistema delle quote è ancora stigmatizzato dalle donne. Dobbiamo però riconoscerlo, è l’unico che abbia portato dei veri risultati. Non soltanto numerici. Le avvocate ora sono più motivate a candidarsi e a proporsi e hanno capito che, se non ti metti in gioco, non potrai mai vincere. Rimane da raggiungere la parità quella effettiva per quanto riguarda i ruoli apicali» dice Ilaria Li Vigni avvocata penalista del foro di Milano esperta di politiche di genere e diversity (è stata presidente del Comitato Pari Opportunità dell’Ordine degli Avvocati di Milano).

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Giovanna Cicero

Anche l’Ordine degli avvocati di Siracusa ha eletto un uomo alla presidenza e una donna vicepresidente:«Le donne nei consigli dell’Ordine svolgono solitamente compiti di tesoriera e segretaria, sono ancora poche le presidenti. Ma non è una questione di competenze, è un dato culturale – afferma l’avvocata Giovanna Cicero, fa parte del Comitato Pari Opportunità – Siamo brave e preparate, capita però ancora di essere sottostimate. A partire dal linguaggio. Nell’approcciarsi a un’avvocata vengono ancora usate le espressioni “signora, “dottoressa”. Ho un cliente che si ostina a chiamarmi così. Non mi ha mai chiamata avvocato, figuriamoci avvocata».

Sono i retaggi di una cultura patriarcale che non muore, difficili da sradicare. Ma non c’è solo la questione della rappresentanza. Secondo l’ultima indagine CENSIS “Percorsi e scenari dell’avvocatura italiana – Rapporto 2018” in generale le donne hanno un reddito medio pari al 43% degli uomini, inferiore in valori assoluti di quasi 30.000 euro, un terrificante gap salariale di genere. Le professioniste guadagnano quasi il 60% in meno rispetto ai colleghi. Gli avvocati riescono a raggiungere un livello di reddito superiore alla media (oltre i 41.000 euro l’anno di imponibile IRPEF) a partire dalla fascia d’età compresa tra i 40 e i 45 anni, mentre le avvocate vi arrivano ben quindici anni dopo, al raggiungimento dei 55 anni.

È una questione di potere.
«C’è una segregazione verticale e orizzontale – afferma l’avvocata Li Vigni- Sono ancora poche le titolari di studi e quelle che prendono parte ai processi più remunerativi. Le avvocate vengono spesso richieste quando ci sono questioni inerenti il diritto di famiglia. Perché il luogo comune dice che siamo più propense all’ascolto, ma non è proprio così. È uno stereotipo. Le donne devono invece occuparsi anche di altri campi, quelli che ora sono ancora percepiti come maschili: diritto bancario, amministrativo o societario dove le parcelle sono più alte». Il foro di Milano ha organizzato dei corsi di leadership: «Alcune delle colleghe che hanno partecipato avevano poca autostima e pur essendo bravissime non riconoscevano le proprie competenze. È emerso durante i corsi che le donne avevano difficoltà a farsi pagare, chiedevano parcelle troppo basse. Dobbiamo invece saper negoziare, chiedere, essere assertive e avere consapevolezza».

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Non c’è però solo la differenza salariale. Ci sono altre questioni urgenti da non sottostimare. Sempre secondo il Censis, il 24% delle avvocate rileva diffusi atteggiamenti e comportamenti discriminatori da parte degli altri colleghi e dei clienti.
«Le molestie fisiche e verbali ci sono anche nell’avvocatura. Ma quasi nessuna denuncia perché le donne hanno paura delle conseguenze nell’ambiente di lavoro» ammette Li Vigni. Il genere invece influisce per il 15% nella scelta compiuta dal cliente quando individua il professionista legale a cui rivolgersi.

Lottare contro stereotipi e pregiudizi quindi è sempre più una “giusta causa” per usare il titolo del film diretto da Mimi Leder uscito a fine marzo nelle sale che ripercorre l’inizio della carriera di Ruth Ginsburg, giudice della Corte Suprema degli Stati Uniti, è stata l’avvocata che ha contributo con le sue battaglie a tracciare una nuova era per i diritti delle donne.

Alla Harvard Law School, che per prima negli Stati Uniti ammise le donne nel 1950 ai corsi di laurea in legge, Ginsburg era una delle sole nove donne in una classe di circa cinquecento uomini. Dopo la laurea, conseguita con il massimo dei voti, la prima della sua classe, alla Columbia University (si era trasferita a New York per stare vicino al marito che aveva problemi di salute), Ginsburg non riesce a trovare uno studio legale disposto ad assumerla. Le dicono che è una donna, quindi troppo emotiva per essere una buona professionista, c’è chi le propone un impiego come segretaria, chi sottolinea che è madre e le chiede quando avrà un altro figlio, un avvocato le dice persino che è troppo preparata. Si deve accontentare di un incarico accademico alla Rutgers University. Ma non si arrende. Insegna legge e, presto, si ritroverà ad affrontare, negli anni ‘70, il suo primo caso. Il cliente è Charles Moritz, un uomo che stava cercando di ottenere una detrazione fiscale per le spese necessarie per occuparsi della madre anziana, qualcosa che la legge riconosceva solo alle donne e non agli uomini. Una discriminazione pura e semplice. Per Ginsburg è il primo passo per individuare tutte le leggi che stabilivano una discriminazione di genere. È diventata una delle massime esperte in questo campo.

Anche in Italia le donne hanno dovuto faticare per ottenere un degno riconoscimento e l’accesso alla professione legale. Lidia Poët lo sapeva. In fondo non sarebbe stato facile. Ma questo non era un motivo valido per considerarsi sconfitte in partenza. Si era laureata in legge, tra le prime in Italia, con il massimo dei voti a Torino nel 1881 discutendo una tesi sul diritto di voto femminile. Dopo due anni di praticantato nello studio legale del fratello aveva chiesto e ottenuto di iscriversi all’albo degli avvocati. Una decisione impugnata da alcuni uomini che presentarono un ricorso. La «milizia togata» così era chiamata la pratica forense a fine ‘800 non era affare per donne. Le ragioni per escludere le donne dall’avvocatura erano da ricercare “nell’educazione e negli studi, nella non integra responsabilità giuridica e morale, nell’indole delle donne più propensa al sentimento che al pensiero”.

Lidia Poët, invece, voleva essere libera di esercitare, rivendicava l’uguaglianza tra uomini e donne. Fece ricorso e arrivò fino in Cassazione, ma il pubblico ministero e procuratore generale Vincenzo Calenda di Tavani non lasciò spiragli: «nella donna la squisitezza di sentire ed un organismo delicato così, da renderla meno adatta alle lotte fisiche ed intellettuali, la predestina invece a quegli offici di assistenza, di aiuto, di conforto, i quali nelle virtù della beneficenza e della carità maggiormente s’ispirano». Le donne erano predestinate alla cura e non si dovevano occupare d’altro.

Susanna Pisano

Susanna Pisano

A furia di combattere le donne italiane riuscirono ad essere ammesse all’avvocatura nel 1919, mentre per magistratura hanno dovuto aspettare fino al 1963. Tornando al presente le avvocate continuano a faticare. C’è ancora chi chiede a una giovane avvocata, prima di assumerla, se vuole avere figli e non sempre è facile conciliare vita privata e professionale. «Quando mi sono iscritta nel 1978 all’Ordine degli avvocati di Cagliari eravamo dieci donne. Ci voleva coraggio – racconta Susanna Pisano, avvocata, ha fatto parte della Commissione Pari Opportunità del Consiglio Nazionale Forense, è Consigliera di Parità della città metropolitana di Cagliari- Ora le donne devono pretendere che la condivisione della cura e la conciliazione sia reale nelle coppie perché altrimenti avremmo sempre una persona che dovrà cedere e rinunciare al proprio percorso professionale. La cassa forense ha stabilito che le donne si cancellano dall’ordine dopo il primo figlio, una percentuale che aumenta dopo il secondo bimbo».

Ci sono però dei passi avanti dal punto di vista normativo. La legge di bilancio per il 2018 (la n. 205/2017) ha disciplinato il legittimo impedimento: la possibilità per le avvocate in stato di gravidanza di chiedere rinvii di udienza e decorrenza di termini, tenendo conto del periodo gestazionale di due mesi anteriori alla data presunta del parto e di tre mesi successi. Grazie a questo provvedimento un’avvocata del foro di Roma ha ottenuto di recente il rinvio di un’udienza. Un caso che aveva suscitato scalpore perché il giudice non aveva riconosciuto all’avvocata che stava partorire il legittimo impedimento. È stato il Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Roma a prendere posizione.

irma-conti«La presenza femminile nei consigli dell’Ordine di Roma con le quote di genere è “scattata” dal 13% al 40%. Il balzo in avanti non è solo delle consigliere, ma di tutte le avvocate perché la loro presenza comporta un’attenzione a tematiche di genere. Le problematiche emergono e vengono affrontate prontamente perché vi è una maggior propensione ad esporle e più attenzione nel recepirle» afferma l’avvocata Irma Conti, consigliera del Consiglio di Roma è impegnata attivamente nella lotta contro la violenza sulle donne, che aggiunge: «Le avvocate hanno ancora molte problematiche relative agli stereotipi. Possono essere superate ad esempio con strumenti concreti come gli sgravi fiscali che possono aiutare le donne quando hanno bisogno di assistenza e collaborazione domestica. Le pari opportunità contribuiscono a diffondere il benessere sociale. Il cammino fatto dalle colleghe antesignane, è stato vitale. Io qualche decennio fa non avrei avuto facile riconoscimento del diritto di essere un’avvocata, ma è ugualmente vitale non arretrare di un centimetro e fare passi in avanti, insieme e con strumenti idonei alla risoluzione dei problemi relativi alla inaccettabile differenza reddituale. Dobbiamo fare squadra e usare la strategia dell’ascensore sociale: per andare lontano bisogna essere in tante e chi arriva in alto deve ricordarsi di far salire le altre».