L’Italia è sempre meno un Paese per donne e bambini. Almeno stando al We World Index del 2019 che misura l’inclusione. Il nostro Paese, infatti, in materia si merita solo una sufficienza e ha perso dal 2015 ben nove posizioni. E’ dietro le altri grandi democrazie come Francia, Germania e Gran Bretagna, ed è stato superato anche da Repubblica Ceca, Portogallo e Bulgaria. C’è di più. Con un punteggio di 57 si piazza sotto media europea di 67 punti, ed in classifica è scivolato al ventisettesimo posto su 171 Paesi; nel 2015 era al diciottesimo posto su 167. A zavorrare i risultati italiani ci pensano vari fattori. Oltre al miglioramento degli altri Paesi, si segnalano la povertà educativa, il peggioramento degli indicatori ambientali e il mancato miglioramento di quelli sulla violenza di genere. In Europa fanno peggio i Paesi baltici, Cipro, Slovacchia, Ungheria, Croazia e Romania. “Solo puntando sulla promozione di politiche sociali indirizzate a favorire l’inclusione economica e politica delle donne, il mantenimento nei percorsi di istruzione dei giovani studenti, l’abbassamento del tasso di disoccupazione e maggior attenzione alla sostenibilità ambientale, in particolar modo in zone periferiche e svantaggiate, l’Italia può sperare di tornare ai livelli delle principali democrazie europee” , afferma Mario Chiesara, presidente di WeWorld Gvc Onlus. L’indice sintetico calcolato da WeWorld mette a confronto la situazione delle donne e dei minori in 171 Paesi, ed è composto da 34 indicatori raggruppabili in 17 dimensioni, che fanno riferimento a un aspetto della vita considerato determinante per l’inclusione. WeWorld-Gvc è un’organizzazione italiana indipendente nata dall’unione di Gvc Onlus e WeWorld onlus con l’obiettivo di accrescere l’impatto dei progetti di cooperazione allo sviluppo e aiuto umanitario.
Il caso italiano
Dalla prima edizione del rapporto, nel 2015, il nostro Paese ha continuato a perdere posizioni fino ad arrivare alla ventisettesima posizione. Per capire il perché di questo arretramento, è fondamentale tenere in considerazione innanzitutto l’avanzamento di altri Paesi: Irlanda, Bulgaria, Polonia, Spagna, Portogallo, Repubblica Ceca, Grecia e Romania. Poi bisogna esaminare i vari indicatori . Se per quelli relativi a salute, accesso all’istruzione, ricchezza prodotta, l’Italia continua a beneficiare di una discreta rendita di posizione, non si può dire altrettanto per gli indicatori ambientali, l’inclusione economica delle donne, la partecipazione, l’accesso a cariche politiche delle donne e l’inserimento lavorativo dei giovani. Inoltre sono peggiorati gli indicatori ambientali e non sono migliorati quelli sulla violenza di genere e sull’educazione dei bambini. Resta anche nel 2019 la barriera della povertà educativa. Una tendenza che permane in quanto l’impoverimento sociale è legato alla dimensione educativa continua. Solo per fare un esempio, il livello di spesa per studente è inferiore alle media dei Paesi più industrializzati calcolata dall’Ocse. E solo il 24% dei bimbi da 0 a 3 anni frequenta l’asilo nido contro il 35% della media Ocse. “
Svetta la Norvegia, ultimi i Paesi Africani
A guidare la classifica, com’è da aspettarsi, è l’Europa del Nord, area all’avanguardia per il welfare state. La Norvegia è in testa con 105 punti (48 in più dell’Italia), seguita da Islanda, Svezia, Danimarca, Svizzera e Finlandia. In buona posizione anche Canada, Nuova Zelanda e Australia. Gli Stati Uniti meritano solo la sufficienza, alla stregua dall’Italia. Tra gli elementi più incisivi di questa edizione 2019 del We World Index c’è il miglioramento dell’India che è entrata nella categoria dei Paesi con insufficiente inclusione. Fattore che fa diminuire di circa 1,4 miliardi la popolazione dei Paesi con gravi forme di esclusione di bambine/i adolescenti e donne. Tuttavia va tenuto conto che, in diversi stati indiani, le diseguaglianze sociali ed economiche interne sono notevoli, con difficili condizioni di vita, per bambini, adolescenti e donne. Nelle due categorie della grave o gravissima esclusione troviamo i Paesi africani oltre a Yemen, Afghanistan,Siria, Pakistan, Papua Nuova Guinea, Haiti, Bangladesh,Iraq, Timor Est. Un fattore accomuna quasi tutti Paesi in fondo alla classifica ed è la presenza di guerre, conflitti non risolti o una grave situazione d’instabilità ed insicurezza. Il cambiamento climatico è un altro elemento di crisi che colpisce vari tra Paesi tra i meno virtuosi. Siccità, alluvioni, cicloni, desertificazione, perdita di patrimonio forestale e della fertilità del terreno, innalzamento del livello del mare, aumento della salinità nell’acqua dolce, temperature anomale e stagioni imprevedibili hanno gravi effetti sulla produzione alimentare e sulle condizioni di vita delle categorie più deboli.
104 milioni di bambini in aree conflitti e disastri non vanno a scuola
WeWorld nel rapporto 2019 dedica una particolare attenzione ai conflitti che costituiscono una delle principali barriere all’accesso alla educazione in diversi paesi del mondo. Oltre la metà dei bambini che non va a scuola vive in contesti d’emergenza, con uccisioni di studenti e insegnanti, distruzione di edifici, stupri, arruolamento di bambini soldato, minori sfollati e rifugiati. Un ragazzo su 5 tra i 15 e i 17 anni non è mai stato a scuola e 2 su 5 non hanno completato la scuola primaria. Sono 350 milioni i bambini colpiti da conflitti armati; 104 milioni di bambini in aree colpite da disastri naturali e conflitti non vanno a scuola. Nel mondo si contano 250.000 bambini soldato. E anche se il fenomeno delle spose bambine sta diminuendo a livello globale, i numeri restano alti nei Paesi interessati da conflitti. Ad esempio più del 70% delle bambine in Niger viene data in sposa entro i 18 anni, e quasi il 30% entro i 15 anni.