Le scienziate italiane del TedXTorino. Sono loro le eredi di Leonardo Da Vinci

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Genialità, talento, creatività, intuito, voglia di contare e lasciare un segno. Leonardo Da Vinci sapeva condensare tutte queste qualità nella sua mente meravigliosa da autentico precorritore. Un uomo che era allo stesso tempo pittore, scultore, matematico, architetto, filosofo e inventore straordinario capace di prevedere il futuro osservando il presente.

A distanza di 500 anni dalla sua morte, l’Italia continua a essere la madreterra dall’humus fertile in cui nasce l’ingegno che trasforma e innova il mondo. In questi cinque secoli gli uomini hanno dominato la scienza, le donne hanno faticato ad affermarsi, ma ora stanno diventando finalmente protagoniste con le loro intuizioni rivoluzionarie. Sono loro le vere eredi di Leonardo.

Sette donne geniali saliranno sul palco del TedxTorino (acronimo di Technlogy, Entertaiment, Design, la conferenza nata negli Stati Uniti è approdata anche in Italia) che si terrà l’10 febbraio.

Sono ricercatrici pioniere come Chiara Gastaldi e Francesca Santoro; Alessia Clusini che ha rivoluzionato il mondo delle analisi di mercato; Viviana Pinto che si occupa di robotica. All’evento sarà presente anche la cantautrice e pittrice Giua, la scrittrice Michela Murgia che presenterà “Noi siamo tempesta. Tanti. Insieme. Diversi” il suo nuovo libro che parla di imprese mirabili. Ci sarà pure Filomena Floriana Ferrara tra le 15 italiane più influenti nel mondo digitale e leader del progetto “NERD? – Non È Roba Per Donne?” promosso dall’IBM in collaborazione con diverse Università italiane per promuovere l’informatica nell’universo femminile.

Queste donne parleranno di robotica educativa, musica, ingegneria aerospaziale, bioelettronica, imprese, big data e intelligenza artificiale in un modo semplice e comprensibile a tutti.

geniusL’iniziativa radunerà complessivamente 15 ospiti presentati dalla giornalista Silvia Bencivelli e affronterà 3 temi principali: scienza e tecnologia, capitale umano in azienda e discriminazione di genere. “Genius Ex Machina” è il titolo e filo condutture dell’evento. L’ispirazione è il mondo antico: nelle tragedie greche era la divinità a scendere sulla terra a risolvere le situazioni (Deus Ex Machina), oggi è la genialità che, diffondendosi, può davvero spiegare e cambiare le cose. Alley Oop ha intervistato le quattro donne under 35 del TedxTorino che si occupano di scienza. Ognuna di loro ha una storia che merita di essere raccontata.

Chiara Gastaldi, l’ingegnera aerospaziale che studia i motori degli aerei

gastaldi«Ho scelto di dedicare la mia vita all’ingegneria perché sin da piccola mi sono interrogata sul meccanismo degli oggetti. Volevo capire il funzionamento delle cose per poter essere utile agli altri. Ho trovato il mio campo, quello in cui riesco a esprimere al meglio la mia creatività» dice Chiara Gastaldi. Ingegnera ricercatrice del Dipartimento di Ingegneria Meccanica ed Aerospaziale del Politecnico di Torino, Chiara compie 30 anni proprio il giorno del Tedx, il 10 febbraio. Fa parte del gruppo di ricerca AERMEC, con il quale tenta di rendere più economico, efficiente e meno inquinante il funzionamento dei motori per aeromobile e per la produzione di energia elettrica.

«Mi sono specializzata a Chicago» spiega questa scienziata che è poi tornata in Italia. «Studio un tipo di motore che viene utilizzato sugli aerei e che subisce spesso la rottura per fatica perché deve funzionare per un periodo di tempo molto esteso. Per rendere più affidabili e durature queste turbine si aggiungono dei piccolini oggetti di metallo, i damper, smorzatori grandi come un gianduiotto che con il loro movimento riescono a diminuire le sollecitazioni e le vibrazioni a cui è sottoposto il motore. Funzionano come quando andiamo sull’altalena e per rallentare appoggiamo il piede per terra». Insieme al gruppo di ricerca di cui fa parte, Chiara ha scoperto come progettare i damper in maniera efficace. «Non abbiamo inventato questi oggetti che già esistevano – chiarisce – ma abbiamo trovato il modo ideale di progettarli e farli funzionare al meglio mappando il loro comportamento». Un’innovazione che potrebbe portare benefici per le aziende abbattendo notevolmente i costi di manutenzione, ma che ha anche e soprattutto implicazioni dirette sul clima del pianeta. «I dumper costruiti bene regolano il funzionamento delle turbine e permettono di realizzare motori più leggeri e più performanti. Se riuscissimo a ridurre del 1% il peso di ciascun motore d’aereo, in un anno riusciremo ad abbattere le emissioni di CO2 nella quantità che producono paesi come il Portogallo o la Grecia» afferma Chiara che sottolinea: «Studi come questo insegnano ad apprezzare le piccole cose, a volte sembrano superflue ed inutili, possano in realtà rivelarsi la chiave per la risoluzione di un problema».

Sono i meccanismi che lei studia, il suo sogno di bambina realizzato, qualcosa che non riguarda solo l’ingegneria, ma che è possibile spendere anche in altri ambiti.
Chiara si muove in un campo che è ancora prevalentemente maschile. «Nel nostro gruppo di ricerca siamo due donne su una quindicina di componenti. Nel 2008 quando ho iniziato l’Università in alcuni dipartimenti dove la presenza femminile era scarsa, non c’erano neanche i bagni per le donne. Ora, fortunatamente, c’è tutto un altro tipo di attenzione» sostiene questa ricercatrice che ama il suo lavoro quotidiano tra laboratorio e lezioni, desidera diventare docente universitaria.

«Nel campo dell’ingegneria in generale le donne stanno aumentando ed è una cosa molto positiva. Per quanto riguarda l’ingegneria meccanica siamo ancora poche, ci fermiamo al 4%. Penso sia una questione legata ad automatismi mentali e a un mondo industriale che è poco inclusivo. Ci vuole uno sforzo collettivo, e in questo il Politecnico di Torino si è dato da fare grazie al progetto “Donna: Professione Ingegnere”, rivolto alle ragazze in procinto di scegliere il percorso universitario da seguire. Dobbiamo però cercare di invogliare le bambine, a partire dalla prima infanzia, a percorrere strade ancora poco frequentate perché diventi qualcosa di normale e scontato. Avere un ambiente di lavoro con un equilibrio di genere poi può rivelarsi decisivo per il progresso. È senz’altro vincente».

Francesca Santoro, la ricercatrice geniale premiata dal Mit di Boston

santoro3«Sono partita, è vero. Ho fatto un giro lungo ma sono anche tornata a casa» riflette Francesca Santoro. Ha 32 anni e dirige un gruppo di ricerca all’Istituto Italiano di Tecnologia nella sede di Napoli. Pochi mesi fa è stata nominata dalla rivista del prestigioso Mit (Massachusetts Institute of Technology) di Boston tra i 10 migliori innovatori italiani e tra i 35 innovatori europei Under 35, unica donna italiana in classifica, riconoscimenti che l’hanno proiettata nel gotha dei ricercatori più importanti nel mondo nel campo tecnologico.

È la mente geniale che sta progettando il cerotto fotovoltaico 3D che rigenera la pelle.
«Eppure – ricorda – quando è arrivata l’estate decisiva, quella in cui avrei dovuto scegliere la facoltà in cui iscrivermi ero in una confusione totale. Un giorno dicevo che avrei scelto scienze politiche, un altro ingegneria aerospaziale».

Sono i libri del fondatore di Emergency Gino Strada a fulminarla. «Li ho divorati. Dopo averli letto avevo scelto. Da buona sognatrice mi sono detta che dovevo dare il mio contributo per cambiare il mondo. Volevo produrre delle protesi a basso costo per chi era colpito dalle mine antiuomo. Mi sono iscritta in ingegneria biomedica a Napoli».
Francesca si appassiona alla biolettronica che connette le protesi al livello del cervello per garantire una piena ripresa della locomozione, si sposta in Germania dove vengono svolti i primi studi pionieristici che utilizzano i transistor, componenti di base elettronici, con le cellule come i neuroni per capire come stimolarle. Poi arriva a Stanford negli Stati Uniti per proseguire le sue ricerche d’avanguardia. «Non mi sono mai sentita un cervello in fuga – spiega – questa espressione ha sempre un’accezione di forzatura, di obbligo. Nel mio caso è stata una scelta che mi ha permesso di progredire nel mio campo». Torna a Napoli grazie a una “tenure track” che le ha offerto l’Istituto Italiano di Tecnologia. «È un percorso di indipendenza. Ti permette di costituire e dirigere un gruppo di ricerca. La selezione si vince con un progetto valutato da una commissione esterna all’Istituto. Un processo estremamente trasparente e meritocratico» sottolinea.

Francesca e il suo team, una squadra i cui componenti hanno in media trent’anni e sono prevalentemente donne, hanno 5 anni di tempo per sviluppare il prototipo del cerotto solare usa e getta ed economico che potrebbe rivoluzionare il settore dei medicamenti: «Stiamo lavorando sullo sviluppo dei materiali. Immaginate il pannello solare che viene posizionato sui tetti. Si può fare qualcosa di simile in plastica flessibile e trasparente. Sarà in grado di accumulare energia che poi diventerà elettricità con la quale cureremo in tempi rapidi la pelle. Saranno dei bendaggi con dei microchip che rigenereranno l’epidermide sanandola da tagli o bruciature». Uno sviluppo cibernetico della nostra vita che ci aiuterà a vivere meglio: «I dispositivi – asserisce Francesca – saranno sempre più piccoli e meno invasivi. Ci abitueremo, diventerà parte integrante del nostro modo di pensare».

Le idee migliori, rivela le vengono di notte: «La scienza non mi fa dormire!» lo dice con un sorriso che riflette la passione infinita di questa scienziata: «Ho poco più di trent’anni e dirigo un team. Mentre all’estero capita di frequente, in Italia non è la normalità. Posso dire che non ho mai rinunciato a inseguire i miei sogni. Spesso mi sono trovata ad essere l’unica donna nel mio campo. Vorrei che potesse contare solo il merito. Come è capitato a me».

Alessia Clusini e la nuova era futuristica della analisi dati

clusini«Cerco con il mio lavoro di sfatare i miti negativi e i pregiudizi che stanno circolando sul machine learning (apprendimento automatico dei computer) e sull’intelligenza artificiale» dice Alessia Clusini. 35 anni, nata ad Arezzo, vive a Londra dove ha cofondato insieme a un’altra italiana, la psicologa Martina Faralli, e a Tomiwa Adey, programmatore, la Trybes Agency, un’agenzia indipendente specializzata nell’analizzare le comunità online e i valori culturali che le permeano.
Dalle supernicchie come gli amanti delle sirene ai big data delle mamme, l’agenzia ha analizzato milioni di “human data”.

«È importante costruire una narrazione corretta – spiega – L’innovazione tech ha un impatto fortissimo nelle nostre vite. Da una parte c’è la percezione di essere in una sorta di superumanesimo, le nostre possibilità sono amplificate dalla tecnologia e dalle macchine informatiche, possiamo raggiungere delle mete che prima non abbiamo mai forse neanche sognato. Più di due miliardi di persone al mondo hanno un cellulare che è infinitamente più potente dei computer che ci hanno portato sulla luna. Oggi possiamo fare delle cose pazzesche. Ma allo stesso tempo c’è la visione distopica come quella della serie Tv Black mirror con i robot che ci sostituiranno. Io vorrei proporre, invece, quella che viene chiamata “hybrid intelligence”, l’intelligenza ibrida tra uomo e macchina che può portarci a raggiungere un livello di intelligenza superiore rispetto a quello che abbiamo ora».

Alessia lavora in un’industria ormai automatizzata in cui i big data sono analizzati dall’intelligenza artificiale che aiuta a gestirli in un modo veloce ed efficace. La sua agenzia in cui gli scienziati dialogano con informatici ed esperti in scienze sociali non si limita ad analizzare i dati demografici utilizzati nelle indagini di mercato, ma ha elaborato una nuova strada pionieristica: i dati “topic-grafici” elaborati attraverso l’intelligenza ibrida. «I dati demografici sono altamente limitanti perché si fermano al sesso, alla nazionalità e all’età, sono razzisti e non sono sensibili alle diversità. I dati con cui lavoriamo invece, analizzano le persone che sono collegate da un interesse comune. Noi non ci limitiamo solo a monitorare le comunità e le conversazioni che avvengono intorno a un tema, ma riusciamo a predire e anticipare gli sviluppi di quel tema legato a un marchio o a un movimento».

Alessia ha un background creativo. Laureata in design della moda, ha cambiato strada e si è dedicata al marketing. Nel frattempo lavorava anche come trend hunter (cacciatrice di trend), un impiego che le ha insegnato a prevedere le tendenze. «È il fil rouge della mia vita – ammette – ho cercato sempre di anticipare quello che le persone vogliono». Questo presente cibernetico, che Alessia ha contributo a creare, non ci deve intimorire. Lei lo spiega bene:

«La conoscenza del cervello umano è ancora limitata. Quando parliamo di intelligenza artificiale non possiamo paragonare il nostro cervello umano a uno che abbiamo costruito. Finché non riusciremo a capire a fondo i nostri meccanismi, non ci sarà nessuno capace di automatizzarli e quindi di replicarli».

Viviana Pinto e la robotica a scuola per imparare sbagliando

pinto«Sono una matematica che si è innamorata del coding e della programmazione quasi per caso» racconta Viviana Pinto. Ha 26 anni, è nata a Torino e si occupa di robotica educativa. La sua è una visione geniale e apripista che coniuga robot, apprendimento e divulgazione scientifica. A otto anni aveva già ben saldo il suo grande sogno: lavorare per Google. «Prima o poi lo realizzerò» afferma determinata.
Si è laureata in Matematica con specializzazione Ingegneria Matematica al Politecnico di Torino ed è proprio durante gli anni di formazione universitaria che si è appassionata ai robot entrando in un laboratorio.

Ha lavorato per un periodo nel campo dell’Intelligenza Artificiale, poi ha deciso di dedicarsi alla robotica educativa. «Avevo un contratto a tempo indeterminato. Ma non potevo pensare di rimanere seduta dietro una scrivania. Così ho preso in mano le mie esperienze precedenti di animazione scientifica con i bambini e con i ragazzi e le mie competenze di pensiero computazionale e di programmazione per poter inseguire le mie passioni».

Un ambito, quello della robotica, che continua a rimanere a maggioranza maschile. «Essere giovane, essere donna in Italia e lavorare nella tecnologia è una combinazione complicata e non dovrebbe essere così. Sono fiduciosa però che le cose migliorino. Quando ho dato gli esami di ingegneria informatica ero l’unica donna – ammette Viviana – sono abituata a stare con gli uomini. Non è poi così drammatico. Certo, a volte, ti accorgi che servirebbero più ragazze intorno. Le donne nella tecnologia sono ancora troppo poche».

Il problema è radicato già nella prima infanzia, nel modo in cui vengono educate le bambine: «Perché ai bimbi che si arrampicano sugli alberi diciamo “dai che la fai” e alle bimbe “Stai attenta, scendi”? Le più piccole spesso vengono cresciute così. A non rischiare. La tecnologia può invece insegnare loro che possono mettersi in gioco. Se sbagli qualcosa poi puoi riprovare» dice Viviana che aggiunge: « Servono genitori con un approccio diverso che dicano sia ai bambini che alle bambine di provare, rompere e ricostruire. Io sono stata fortunata. Mio padre mi ha insegnato a fare il cemento e i mattoni. Mi ha cresciuta libera senza condizionamenti».

I robot possono aiutare a smantellare i gap di genere proprio perché non fanno distinzioni. Viviana ne è convinta: «Insegnano a risolvere i problemi, mettono i bambini e le bambine davanti a un obiettivo da raggiungere, li spronano a programmare e a lavorare con il resto del gruppo. La robotica educativa fa capire che l’errore non è un dramma, ma è parte del processo di apprendimento. Qualcosa che dovrebbe arrivare anche nel mondo della scuola». Viviana collabora con Bricks4Kidz Italia, insegna le scienze attraverso l’utilizzo dei Lego perché è più facile per i bimbi memorizzare e imparare qualcosa che costruiscono con le loro mani. Ha anche fondato un’associazione che si occupa di divulgazione scientifica che si chiama “Scienza Cipolla” e ha un suo sito nanarobotics dove racconta le sue esperienze divulgative.