C’è un filo che collega le donne delle
tribù Masai del nord della Tanzania agli studenti dell’Istituto europeo di design di Milano. È un filo di perline coloratissime molto potente perché in grado di cambiare la vita delle donne che lo intrecciano. In queste comunità la condizione femminile è critica ma la nascita di “
Maasai women art” – idea imprenditoriale che parla anche italiano – dà lavoro a 165 artigiane permettendo loro di muovere i primi passi verso l’indipendenza.
I Masai creano gioielli con le perline da molto tempo. Sono accessori preziosi ma non sono un vezzo. Hanno un simbolismo e un significato sociale. Per esempio i colori e la struttura delle collane possono indicare l’età, lo stato sociale e civile di qualcuno. Addirittura dall’intreccio di perline si può sapere se una donna ha dato alla luce un maschio o una femmina.
L’intuizione del potenziale commerciale di questi gioielli è di
Marina Oliver,
managing director dell’azienda, svizzera d’origine e africana di adozione. Fin dal suo arrivo in Africa nel 1994 ha sempre guardato con ammirazione questi accessori dai colori vivaci e i motivi intricati. É stata però la collaborazione con la
ong Istituto Oikos che ha dato vita a “Maasai women art” nel 2006.
“La nostra idea – dice la responsabile – è unire le capacità di artigianali masai a modelli dal design innovativo che possano essere indossati in tutto il mondo”. Due anni dopo, nel 2008, il progetto diventa a tutti gli effetti un’attività indipendente economicamente. Oggi i monili di “Maasai women art”, che nel 2018 ha fatturato circa
80mila dollari, sono venduti sia localmente che esportati in tutto il mondo. La rete di vendita conta tra i 10 e i 12 Paesi. Il mercato maggiore sono gli Stati Uniti, seguiti dal Canada, e da poco si sono aggiunti rivenditori in Ungheria e Tailandia.
Oggi all’interno dell’organizzazione lavorano due gruppi di artigiane. La
cooperativa Nasaruno a Mkuru conta 140 donne; a Meserani nel gruppo
Enaboisho ce ne sono 25. Le
mamas si occupano di tutte le fasi della produzione del gioiello: dall’acquisto del materiale da fornitori locali all’accessorio finito.
Sono gioielli etici perché hanno un impatto positivo sulla vita delle donne che li lavorano e sull’ambiente. Questa attività infatti ha sostituito il lavoro precedente: la vendita illegale del carbone, un lavoro pericoloso per le donne e nocivo per la natura. Come ricorda Oliver: “tagliavano la legna, la bruciavano, e facevano il carbone. Poi di notte camminavano molti chilometri per andare a venderlo di nascosto visto che in Tanzania è illegale. Questa attività garantiva loro un piccolo guadagno ma è un lavoro pesantissimo, pagato male oltre che proibito”.
“Maasai women art” con il tempo ha cominciato a dare i suoi frutti, non solo finanziari. Le ricadute positive per le donne sono diverse: “con questa entrata alternativa di denaro, più alta di prima, hanno iniziato a mandare maggiormente i bambini a scuola, ad alimentarsi in modo più sano e vestire meglio i figli”, dice Oliver. Così stanno lentamente acquistando autostima e un poco più di potere e rispetto nelle comunità a cui appartengono. La situazione è di forte disparità ma sta lentamente cambiando. Come spiega la responsabile: “Grazie ai soldi guadagnati ogni anno comprano una capra. Gli animali non appartengono al marito, come solitamente avviene, ma garantiscono alle donne una indipendenza finanziaria. E con il denaro, stanno guadagnando anche maggiore potere decisionale”.
La condizione femminile nelle tribù è difficile. “Ancora oggi – commenta Oliver – per tradizione la donna masai è destinata ad essere prenotata fin da bambina ad un matrimonio di convenienza. Non studia e inizia ad avere figli fin dalla prima adolescenza. Fatica molto ma ha un ruolo di subalternità”. Solo garantendo un lavoro e contribuendo al miglioramento dell’educazione delle nuove generazioni c’è una speranza per la comunità femminile Masai. “Senza istruzione le donne non riusciranno mai ad ottenere rispetto, indipendenza. Non riusciranno ad avere futuro”, aggiunge.
Il 2019 sarà l’anno della nuova collezione. Ad occuparsi del design dei gioielli è
Francesca Torri Soldini,
art director, con gli studenti dello Ied di Milano. Oliver spiega i passaggi della produzione: “per prima cosa viene organizzato un workshop in cui ogni studente propone un modello e viene fatta una prima selezione. Poi in Tanzania facciamo la scelta finale dei pezzi e le donne cominciano a produrre”. Ogni decisione viene sottoposta anche al parere delle lavoratrici e ogni artigiana viene pagata per i pezzi che produce. Marina Oliver dà anche alcune anticipazioni sulle novità: “l’anno scorso è partito un progetto per insegnare alle comunità Masai a conciare le pelli. La stilista
Marina Spadafora ha ideato una collezione di borse e nel prossimo catalogo vorrei abbinarle ai gioielli”.
Nel board of director di “Maasai women art” fanno parte anche due donne leader Masai. L’obiettivo futuro è che una delle artigiane passi dalla produzione alle forze di gestione. “Ad un certo punto ci vuole energia nuova – dice la responsabile – quest’anno vorrei affiancare una giovane tanzaniana che un giorno possa prendere il mio posto”. E conclude speranzosa: “l’ideale? una ragazza masai istruita”.
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#Unimpresadadonne è il progetto che vede insieme AlleyOop – L’altra metà del Sole e la ong Istituto Oikos per raccontare l’imprenditoria femminile sostenibile. L’iniziativa è resa possibile grazie al sostegno dell’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo.
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