L’opportunità sarebbe stata d’oro. Le startup sono innovative, giovani e risolvono i problemi del mondo (o almeno ci provano). Ma, grande opportunità persa, non stanno cambiando il nostro modo di lavorare. Nonostante siano piene di tecnologia e di Millennials – e apparentemente i Millennials sono dei fan del work-life balance – le startup sposano appieno o addirittura peggiorano alcune delle condizioni più “antiche” del mondo del lavoro, prima fra tutte quella che dice che se vuoi avere successo non puoi avere una vita. Lo dicono i loro idoli: da Elon Musk, che twitta “Nessuno ha mai cambiato il mondo lavorando 40 ore a settimana” a Tim Cook, che manda regolarmente email prima delle 6 del mattino. Uomini pluri-separati, con figli sparsi che vedono così di rado da scoprire i dettagli della propria paternità nei libri o nei film che quegli stessi figli – amareggiati ancorché miliardari – producono. Uomini che dichiarano apertamente che “fare una startup è come riparare un aereo mentre precipita: non c’è tempo per fare nient’altro”.
La dimensione della vita puoi restringerla e fingere di ignorarla, ma, soprattutto se inizi a dire in giro di voler “arruolare” le donne, dovrai farci i conti, prima o poi. Non a caso il mondo delle startup, pur così nuovo, è già profondamente maschile. Oltre a essere monodimensionale (fare finta di ignorare le dinamiche della vita), è competitivo e testosteronico, e si sta legando a doppio filo con un mondo altrettanto maschile, quello della finanza. Sembra che questo sia necessario: così dicono le regole implicite e condivise, questo è ciò che mostrano i role model. Ed è un’occasione sprecata, perché invece si potrebbe fare diversamente e stare tutti molto meglio. Come racconta un recente articolo dell’Harvard Business Review – che ultimamente si ripete parecchio sul tema del work-life balance, e un motivo ci sarà – “Puoi essere un grande leader E avere una vita”.
E’ paradossale che debbano dircelo le ricerche e che dobbiamo andare a cercare testimonianze che lo dimostrino, come quella della CEO di Youtube Susan Wojcicki, incinta del quinto figlio, che tutte le sere alle sei cena a casa con la sua famiglia.
Miracolo oppure scandalo? Non è abbastanza impegnata sul lavoro? Lo fa per lenire i sensi di colpa?
Niente di tutto questo, racconta semplicemente lei. “Se al secondo figlio mi chiedevano se avrei lasciato il lavoro oppure come pensavo di cavarmela, devo dire che adesso questa domanda non me la fa più nessuno. I tuoi bambini prendono qualcosa dalla tua carriera e la tua carriera prende qualcosa dai tuoi figli”. Ma non nel senso che si “tolgono” cose a vicenda quanto nel senso che se la “danno”. Non è un gioco a somma zero, perché si tratta di cura, e la caratteristica dell’avere cura è che i diversi ruoli invece di andare in conflitto si “accumulano”, condividendo energie e capacità. Magico? Semplicemente un nuovo paradigma, che oggi la tecnologia permetterebbe a tutti di sperimentare: avere più dimensioni per “essere” più cose e portarle tutte con sé. Ma per farlo occorre rispettare la complessità della vita e farle spazio (anche attraverso un maggiore rispetto del tempo): e perché questo accada dobbiamo metterci d’accordo di volerlo abbastanza da cambiare le regole.
Un buon motivo?
Tutti i lunedì, il direttore generale di un’azienda di gestione finanziaria di Los Angeles, porta i suoi nipotini di 9 e 11 anni a scuola, poi lavora da casa e li va a riprendere per portarli a nuoto. “Sono molto coinvolto nella loro vita, come non lo sono mai stato in quella dei miei figli”, dice. “Quando non ci sarò più, avranno molto da ricordare”.