Nata per durare a lungo, diventata il materiale usa e getta per eccellenza: è il paradosso della plastica che oggi invade i nostri mari. La consapevolezza pubblica sulla questione sta aumentando e anche i governi stanno passando all’azione. Tra le ultime direttive c’è quella del Parlamento europeo che il 24 ottobre ha votato per il divieto totale degli oggetti in plastica monouso a partire dal 2021.
I numeri danno la misura della grandezza del problema. Nel 1950 il mondo produceva “solo” 2 milioni di tonnellate di plastica all’anno. Da allora, la produzione annuale è aumentata di quasi 200 volte, raggiungendo nel 2015 le 381 milioni di tonnellate. Di queste si stima che, ogni anno, finiscano riversate negli oceani tra le 4,8 e le 12,7 milioni di tonnellate.
Tutta questa plastica abbandonata in mare produce danni in Europa che raggiungeranno i 22 miliardi di euro entro il 2030. Ma già oggi si fanno i conti con questa enorme mole di rifiuti galleggianti: il loro costo stimato è compreso tra i 259 e i 695 milioni di euro, soprattutto a discapito dei settori ittico e turistico che dipendono proprio dai prodotti ricavati dal mare. La perdita economica riguarda anche il manifatturiero: solo il 5% del valore degli imballaggi di plastica infatti resta nell’economia, il resto viene buttato.
Le nuove regole dell’Ue si concentrano sulle materie plastiche monouso che costituiscono il 70% di tutti i rifiuti marini e prevede il divieto di quegli oggetti di cui esiste già una versione alternativa disponibile sul mercato, vale a dire cotton fioc, posate, piatti, cannucce, bastoncini mescola bevande e bastoncini da palloncino. Verranno anche introdotte misure specifiche per ridurre l’uso dei prodotti in plastica di cui ancora non esiste nessuna alternativa e che più frequentemente troviamo disseminati sulle spiagge europee. Si parla per esempio della riduzione del consumo di contenitori di alimenti del 25% entro il 2025 e del 50% per i filtri di sigaretta contenenti plastica. Un altro obiettivo ambizioso è quello di garantire, sempre entro il 2025, un corretto smaltimento per il 90% di bottiglie di plastica monouso di bevande, per esempio attraverso il sistema dei vuoti a rendere. Attualmente, proprio le bottigliette e i loro tappi rappresentano circa il 20% di tutta la plastica gettata in mare.
Bruxelles cerca in questo modo di arginare il flusso senza fine di inquinamento plastico che, una volta in mare, può percorrere anche grandi distanze grazie alle correnti oceaniche rendendo gli effetti dell’inquinamento ancora più imprevedibili. Di certo c’è la pericolosità di questi rifiuti per la vita marina in tutte le sue forme con conseguenze sull’uomo ancora non del tutto chiare.
La plastica può essere mangiata dai grandi mammiferi come le balene, bloccando il loro sistema digestivo e uccidendole. È il caso del capodoglio di 10 metri trovato morto sulla costa meridionale della Spagna con 29 chili di plastica nello stomaco. Per tartarughe e uccelli marini sacchetti e reti abbandonate diventano autentiche trappole in cui rimangono impigliati. Quando invece i rifiuti di plastica si rompono in piccoli frammenti vengono ingeriti da altri pesci. Gli scienziati hanno trovato microplastiche in 114 specie acquatiche e più della metà di quelle analizzate finisce sulle nostre tavole.