In Italia il 35,6 per cento delle persone che hanno deciso di fare impresa aderendo a una rete in franchising è donna. A dirlo è il Rapporto 2018 realizzato da Assofranchising in collaborazione con l’Osservatorio Permanente sul Franchising dell’Università La Sapienza di Roma, che fotografa lo stato dell’arte dell’affiliazione commerciale nel nostro Paese su dati 2017. L’informazione sui franchisee/affiliati è particolarmente significativa se confrontato con le ultime statistiche di Unioncamere-InfoCamere, secondo cui, sempre nel 2017, le attività produttive a conduzione femminile hanno rappresentato il 21,86 per cento del totale delle imprese.
Insomma, la “nicchia” franchising, con il suo giro d’affari di oltre 24 miliardi 500 milioni, sembrerebbe attrarre le aspiranti imprenditrici. “Credo che questo dato si spieghi con il fatto che offre un progetto imprenditoriale già sperimentato con la possibilità anche di compiere investimenti contenuti e di accorciare i tempi di avviamento”, spiega Luisa Barrameda, coordinatrice nazionale Impresa Donna Confesercenti e coordinatrice nazionale di Federfranchising. “In un Paese dove l’occupazione femminile stenta a decollare, le donne trovano nel franchising l’opportunità dell’autoimprenditorialità e di conciliare vita privata e lavoro”. Un ingresso all’impresa forse più agevolato che però chiede comunque di fare i conti con business plan e accesso al credito.
Claudia Torrisi, precedentemente country manager per l’Italia di Kids&Us, rete spagnola di scuole di inglese per bambini e ragazzi con circa 20 centri nel nostro Paese e oltre 400 nel mondo, oggi è in procinto di aprire la sua seconda scuola del network come affiliata a Roma. “L’appeal che questa formula imprenditoriale può esercitare nei confronti delle donne che vogliono diventare imprenditrici è che far parte di una rete permette di minimizzare il rischio di impresa. E forse soddisfa anche un’esigenza femminile di certezze, frutto di un retaggio culturale che dobbiamo ancora smantellare. Ci fanno credere che siamo meno capaci di leggere un conto economico, finiamo quasi per esserne convinte, ma la verità è che io per avviare le mie attività ho sempre dovuto chiedere finanziamenti bancari e li ho ottenuti perché, oltre ad avere un business plan valido, dimostravo di conoscerlo”. Nel documento di Assofranchising non si trovano indicazioni relative al genere dei franchisor, cioè quegli imprenditori che decidono di far crescere la propria attività cedendo all’affiliato, dietro corrispettivo, il know-how di un format già sperimentato sul mercato, l’uso del marchio e una serie di servizi.
Ma gli esempi al femminile non mancano Giovanna Scarna Casaccio, di Parma, è fondatrice e titolare dal 2007 della palestra Fit for Lady, concept di centro fitness dedicato esclusivamente alle donne e ha lanciato il suo progetto in franchising. “Le donne che vogliono aprire una palestra con il mio marchio spesso si presentano ai colloqui con il padre o il marito, è a loro che in qualche modo sembrano chiedere il permesso, e il capitale, per aprire una attività. Ma chi vuole fare l’imprenditrice, per la mia esperienza, deve sapersi mettere in gioco, pur con gli strumenti giusti e la preparazione”. Il suo concept oltre ai programmi di ginnastica prevede una serie di servizi, dal parcheggio per passeggini fino alla stanza per far giocare i bambini che è tutta vetri e si trova al centro dello spazio dove le mamme si allenano, così che si possano vedere a vicenda. “Al centro di tutto ho voluto mettere le mamme e i bambini, perché è già difficile dedicarsi del tempo come donna, quando si hanno figli ancora di più. E anche l’idea di lanciare un progetto di affiliazione commerciale mi è venuta per dare supporto nell’accesso al mondo lavorativo”. C’è poi chi sceglie di entrare in une rete in franchising per cambiare vita.
E’ il caso di Claudia Vagelli, quarantatre anni di Firenze, che dopo tredici anni come restauratrice di opere d’arte e un contratto da dipendente, nel 2015 ha deciso di affiliarsi a Color Glo, rete di origine americana che opera nel mercato della rigenerazione delle superfici in pelle e plastica e conta circa 40 affiliati in Italia e 500 nel mondo. “Ero stanca di viaggiare e vivere fuori casa per tanto tempo – racconta Claudia Vagelli – perché non si sa mai quanto possa rimanere aperto un cantiere, mi sentivo annullata. A un certo punto ho deciso che era venuto il momento di fare qualcosa di mio, cercavo corsi online e mi sono imbattuta in questa proposta di impresa. Ho investito il mio tfr, con il vantaggio di non partire da zero. Oggi posso restaurare borse di lusso, interni di auto o sedie dell’800. Insomma, è il mio lavoro ma in chiave moderna”.