La parità di genere, ormai lo abbiamo capito, è un processo lento. Fatto di andate e di ritorni, di bruschi stop e di altrettanto inaspettati passi avanti, anche nei settori più inaspettati. È successo per esempio, quasi per caso, lo scorso febbraio che la Liberty Media, il colosso americano della comunicazione che ha acquistato per 8,5 milioni di dollari la Formula 1 da Bernie Ecclestone, decidesse di dire addio (una buona volta) alle cosiddette “ombrelline”. Un nome un po’ scemo per indicare una altrettanto inutile abitudine: quella di far scendere in pista a fianco ai piloti ragazze belle e discinte che si soffermavano al loro fianco in attesa del via, reggendo un cartello con il numero della vettura o, nel caso delle gare di moto, un ombrello (da cui il nome) per proteggere i piloti dal sole. A spingere la società verso questa decisione, hanno commentato molti all’epoca, sarebbero stati gli scandali americani (e non solo) sulle molestie sessuali, primo fra tutti quello che ha coinvolto il produttore cinematografico Harvey Weinstein.
Un altro passo avanti in questa direzione lo ha fatto anche Ferrari che martedì 8 maggio ha inaugurato, presso il Museo Enzo Ferrari di Modena la mostra ‘Il Rosso & il Rosa”. Dove il primo è il colore che da sempre identifica l’automobile simbolo del Made in Italy nel mondo, e il secondo quello che – in maniera un po’ stereotipata – identifica le molte donne che, a dispetto dell’idea che i motori siano solo una cosa da uomini, hanno invece posseduto, guidato e persino gareggiato con un modello della casa del Cavallino Rampante.
L’esposizione racconta infatti le donne che più o meno dagli anni ’50 ad oggi, sono passate in modo costante dal sedile del passeggero a quello di guida. È questo il caso per esempio di Anna Magnani che durante le riprese del film “La ragazza d’oro” decise di regalarsi un’esemplare della famosa 212 Inter Coupé. Un modello amato anche da Ingrid Bergaman che la ottenne in dono dal marito, il regista Roberto Rossellini, per il loro anniversario di matrimonio. Ma tra le amanti e del marchio di Maranello ci sono state anche Marylin Monroe, l’attrice hollywoodiana Norma Shearer, la pilota francese Annie de Montaigu, l’attrice statunitense Jayne Mansfiled, la stilista Donna Karan, l’icona pop Beyoncé, la cantante scozzese Amy McDonald e la professionista della finanza nonché pilota GT Deborah Mayer.
Quest’ultima in particolare ha partecipato assieme a Amy MacDonald all’evento inaugurale della mostra, durante il quale ha raccontato come è nata la sua passione per la Rossa e cosa significa essere una pilota donna in un mondo di uomini. “I competitor – assicura Mayer – non sono più gentile nei confronti di una donna. Quando la gara inizia sei solo un pilota e conta chi va più veloce”. E tuttavia le corse automobilistiche continuano ad essere un settore a preponderanza maschile. Una situazione legata secondo Amy MacDonald alla “difficoltà di fare il primo passo, di iniziare perché la gente pensa che si tratti di una cosa molto complicata o troppo pericolosa”.
In realtà, assicurano le due, lavorare nell’industria musicale – come nel caso di MacDonald – o in quella finanziaria – come per Mayer – implica le stesse sfide e le stesse difficoltà per le donne che devono dimostrare ogni giorno “di reggere la competizione e di riuscire a gareggiare con una maggioranza di sesso maschile”.
Ed è forse per questa sfida continua, anche nell’ambiente di lavoro, che per Deborah Mayer la sua carriera di pilota GT e prima di tutto un modo per essere libera: “guidare la mia macchina – rivela – mi da un grande senso di libertà. Salire al volante significa infatti prima di tutto essere indipendente e potermi godere questa sensazione”.
Una sensazione che se pur in maniera indiretta può essere assaporata anche ammirando i modelli, e le foto delle loro fortunate proprietarie, in mostra fino al 18 febbraio 2019 al Museo Enzo Ferrari.