Perché il potere femminile non è (ancora) sexy

potere

In questi giorni sto lavorando sul concetto di “potere”. Lo cerco nei libri, negli articoli di giornale, nelle ricerche scientifiche… ma anche per la strada, nelle immagini, nei film. Spesso durante i workshop chiedo ai manager: “chi ha il potere”? Le risposte spaziano dai capi di stato alle persone economicamente influenti alle rock star ai calciatori. Il potere sembra essere un misto di “valore economico dell’immagine”, dimensione dell’influenza e capacità di decidere per gli altri – o meglio “sugli” altri.

Poi domando a loro se pensano di avere potere. E’ una domanda inaspettata per molti, solo alcuni alzano subito la mano. Altri seguono dopo averci pensato un po’. Molti pensano di non averne. Li provoco domandando se, invece, hanno responsabilità, e tutti dicono sempre di sì. Ecco, ci sentiamo degli adulti che hanno responsabilità, ma non potere.

Che cos’è il potere? Secondo la Treccani è innanzitutto l’uso sostantivato del verbo potere, ovvero “la capacità, possibilità oggettiva di agire, di fare qualcosa”. Questo tipo di potere dovremmo averlo tutti o quasi. Il secondo e il terzo significato che indica l’enciclopedia si avvicinano al concetto di potere che ci è più familiare (“potere come comando, privilegio, sopruso, forza” è quel che emerge nei gruppi di lavoro), ossia: “Con senso più affine a potenza” e “Capacità di influire sul comportamento altrui, di influenzarne le opinioni, le decisioni, le azioni, i pensieri”, fino ad arrivare al quarto significato, che è semplicemente “Dominio, balìa, possesso”.

Siccome un’immagine vale più di mille parole, chiedo all’oracolo di Google images di farmi “vedere” che cos’è il potere. Emergono immagini in bianco e nero di vittorie, muscoli, uomini “al comando”, burattinai. E’ il potere “su”, e non il potere “di”. Il vestito del potere diventa più evidente quando a indossarlo sono interpreti nuovi, come racconta la giornalista del Washington Post Ann Hornaday in questo bellissimo pezzo su “Perché è ora che i ritratti femminili del potere evolvano”. Hornaday prende spunto dell’eroina di Tomb Raider, solo l’ultima e più recente di una serie di eroine muscolari e atletiche che hanno incarnato alla perfezione la definizione tradizionale di potere, per domandarsi se siano

“ancora questa le nostre migliori opportunità? Ciò che un tempo sembrava liberatorio ora sembra limitante, riducendo la nostra nozione di potere a un burlesque leggermente isterico”. Esiste invece un’interpretazione nuova, puramente femminile, del potere, qualcosa di meglio dell’essere “toste come un uomo”?

Secondo la giornalista esiste eccome, ed è anche una rappresentazione potente, ma questa volta nel senso della “possibilità oggettiva di agire”. La racconta attraverso la storia di Wilma Mankiller, la prima donna eletta a capo della nazione Cherokee. “Mankiller ha guidato il suo popolo abilitando gli altri, e così facendo ha girato il telescopio, dimostrando quanto si può far accadere se si rinuncia al proprio ego e si permette a coloro che hanno un problema di identificarlo e risolverlo da soli”. Anche su Wilma Mankiller è da poco uscito un film, con molta meno visibilità di Tomb Raider.

Avviene insomma che l’abitudine occidentale a quella che Hornaday chiama “l’etica lineare del gioco a somma zero”, renda più seducente nell’immaginario comune il modello noto e digerito di donna potente (aggressiva, mascolina, violenta) di “Tre manifesti a Missouri” rispetto a quello più morbido e basato sulle alleanze dell’editrice del “Post” Katharine Graham.

Interessante perché, tornando alle ricerche, quando donne “potenti” definiscono il potere vi associano proprio concetti come la responsabilità e il senso della possibilità. Ora si tratta “solo” di rendere questo nuovo modello sexy e familiare quanto quello dell’eroina di Tomb Raider…

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