Da qualche mese, Elena Ferrante (pseudonimo usato da Anita Raja) tiene una rubrica settimanale sul Guardian. Racconta l’Italia, ma anche, e con decisione, il punto di vista femminile. L’ultimo articolo ha ricevuto decine di commenti critici dai lettori britannici, tra cui la domanda: “Forse sarà così in Italia? Non da noi!”. Che cosa ha suscitato tanta indignazione? In cinque brevissimi paragrafi, Ferrante ha scolpito nella pietra la condizione femminile (in Italia? Forse, ma non solo), senza preoccuparsi di smussare gli angoli. Se potessi incontrarla, vorrei dirle che capisco come un linguaggio così netto abbia potuto infiammare gli animi – anche quelli tradizionalmente freddini dei lettori inglesi – e che sarebbe bello saggiare anche la reazione degli Italiani. Anzi, proverò a farlo qui, selezionando i tre passaggi chiave dell’articolo e commentandoli da Italiana.
1. Non c’è donna che non faccia uno sforzo immenso per arrivare alla fine della giornata.
Le donne vivono dentro a perenni contraddizioni e fatiche insopportabili. Tutto, letteralmente tutto, è stato codificato secondo bisogni maschili – persino la nostra biancheria intima, le nostre pratiche sessuali, la maternità.
Qui i lettori Inglesi polemizzano chiedendosi se Ferrante intenda dire che “il maschio è il male”. In realtà non c’è nessuna cattiva intenzione negli schemi maschili che governano la nostra vita: semplicemente li hanno disegnati gli uomini (tutto, persino la moda e la gestione della maternità) e lo hanno fatto nel modo in cui hanno saputo farlo, con occhi, menti e mani maschili. Come altro potevano farlo? Riconoscerlo non equivale a demonizzarlo.
2. Conosco una giovane donna che si è allenata a non essere troppo bella, troppo intelligente, troppo saggia, troppo indipendente, troppo generosa, troppo aggressiva, troppo carina.
Il “troppo” delle donne produce violente reazioni maschili e l’inimicizia delle altre donne, obbligate ogni giorno a combattere tra loro per le briciole lasciate dagli uomini.
Qui Ferrante viene accusata dai lettori del Guardian di essere superficiale. Ma la violenza “di ritorno” che le donne subiscono quando sono troppo è sotto gli occhi di tutti. Che sia la violenza fisica di ex partner a cui mostrano troppa indipendenza, oppure la violenza verbale di cui sono oggetto quando alzano la voce, per esempio in politica, e infine, purtroppo, il fuoco amico di cui sono oggetto quando diventano troppo visibili e raccolgono un’extra dose di briciole… le donne sono una “minoranza” evidente proprio nella vulnerabilità che emerge da ogni loro atto di forza.
3. Persino oggi, dopo un secolo di femminismo, noi non possiamo essere completamente noi stesse, non ci apparteniamo. (…) E’ una condizione che rende molto facile diventare odiose a se stesse e ad altri.
E’ possibile, mi chiedono qualche volta, che tu non conosca nemmeno una “bitch”? Ne conosco, certo: ne sono piene sia la letteratura che la vita di tutti i giorni. Ma, tutto considerato, sono dalla loro parte.
Ferrante dai natali partenopei anche se poi cresciuta a Roma, fa affermazioni che per me ha tutto il calore di un cuore meridionale. Chi lavora molto con le donne sa quanto sia irta la strada della ricerca di un linguaggio nuovo e comune, quanto facile sia fraintendersi e sentirsi minacciate, quanta incertezza ci sia fra di noi, che siamo le ultime arrivate… dovremmo ricordarci – sempre – perché è tutto così difficile, e quindi saperci perdonare a vicenda, tenderci la mano e fare squadra a modo nostro. Perché quando succede, quando ci riconosciamo da un gesto o da uno sguardo, allora siamo fortissime, imbattibili. E non abbiamo più paura.