Finisce EuroBasket. Due settimane di torneo che sono state un’altalena incredibile di emozioni: l’infortunio a Chicca, la vittoria con l’Ungheria, la devastante sconfitta con la Lettonia, il premio personale per il miglior quintetto del torneo. Sono tornata in Italia stremata, sconvolta da tutte queste circostanze. Come ho messo il piede in Italia, ho saputo della chiamata delle Minnesota Lynx, una delle squadre più quotate della WNBA, la massima lega di pallacanestro al mondo.
Se prima ero frastornata, immaginatevi quanto lo fossi in quel momento: il sogno di una vita, giocare negli Stati Uniti al più alto livello, mi bussava alla porta, così presto. A 21 anni. E così il 22 agosto ero in aeroporto, di nuovo. Direzione Minneapolis. Avevo mille pensieri, emozioni, anche paure.
Ho vissuto una prima settimana molto strana, in cui non si poteva annunciare ufficialmente il mio arrivo: ero unita alla squadra, ma non potevo apparire finché tutto l’iter non fosse stato completato. E sono capita lì proprio al momento della trasferta più lunga dell’anno, tra San Antonio, Los Angeles e Indianapolis. Ci si è messo anche l’uragano che aveva colpito la città di Houston, a rendere quei viaggi ancora più pesanti.
Arriva il 30 agosto, e così il mio debutto nella WNBA. In maglia Lynx, a Indianapolis, gioco i miei primi minuti. Tremavo, il cuore mi batteva a mille. Non me lo dimenticherò mai. Così come ricorderò sempre i miei primi punti contro le Chicago Sky, in casa, con quasi 10.000 persone presenti all’arena. Ero dove avevo sempre sognato di essere, giocando allo sport che amavo fin da bambina.
L’impatto con gli States è stato facilitato dall’organizzazione delle Lynx e dalle compagne di squadra: un gruppo davvero super, di persone che mi hanno fatto sentire dal primo giorno come parte di una grande famiglia. Bastava entrare in quello spogliatoio per capire che avevamo una vera chance di vincere il quarto titolo di campionesse.
Fuori dal campo, la città di Minneapolis mi è piaciuta, si respirava un gran clima intorno al basket. Nella facility di allenamento spesso incontravamo i giocatori dei Timberwolves, la squadra maschile, che si preparavo per la stagione. Poi le visite a Washington, Los Angeles…insomma, sono riuscita anche a vedere delle gran belle città. Unico adattamento difficile, sarà pure un cliché, ma è stato il cibo. In quello l’Italia mi è mancata molto.
Comunque, è iniziata la nostra corsa nei playoff. Abbiamo terminato prime la stagione, quindi attendevamo la nostra avversaria in semifinale: le Mystics di Toliver, Delle Donne, Meesseman. Un osso duro, che siamo riuscite a battere in tre partite. Poi è iniziata la grande rivincita, contro le Los Angeles Sparks. L’anno precedente stessa finale e le Sparks hanno vinto a gara 5 in una serie combattutissima.
Non è stata da meno la serie di quest’anno: perdiamo un’incredibile prima partita in casa, vinciamo la seconda, poi perdiamo la terza allo Staples Center. Sembrava finita. Invece, riusciamo a vincere la quarta fuori casa e, in un’incredibile cornice di oltre 12.000 persone, vinciamo la quinta partita a Minneapolis diventando campionesse WNBA.
Inizio a correre per il campo, abbracciare tutte le mie compagne, lo staff, chiunque. Champagne in spogliatoio, party tutta la notte. Una gioia indescrivibile per me, dopo poco più di un mese dal mio arrivo.
Due giorni dopo, ancora, aeroporto. Si torna a casa. Saluto mamma e papà, è una domenica. Lunedì mattina si riparte, per Schio. Sempre di corsa, sempre per il basket.
Sono stati mesi turbolenti, frenetici, ad un ritmo insostenibile. Ho 21 anni e ancora tantissimo da imparare. Ma posso solo dire grazie a questo sport meraviglioso che mi sta dando opportunità di crescere e di fare ciò che amo.