Elegante presenza scenica. Colpisce subito questo aspetto guardando il Tedx di Udine di Valeria Filì, full Professor at Università degli Studi di Udine, che ci ha sottoposto il suo speak per avere un commento. Ad un primo impatto, è indubbio, ci vengono subito trasmesse competenza contenutistica e sicurezza espositiva. La speaker ha chiaro il valore del proprio messaggio e cerca un modo diretto per esporlo. Questa sicurezza talvolta, però, si traduce in una sorta di “protezione”, in un tentativo di autodifesa per mantenere costantemente sotto controllo le emozioni. E lo rivela, in alcuni tratti del Tedx, una mono-tonalità: vi sono poche variazioni di timbro e la speaker “tiene” la stessa nota. Questo potrebbe togliere efficacia.
E’ come se, in una composizione polistrumentale, in alcuni passaggi si percepisse sempre e solo il violino. E non a caso parlo di violino, poiché vi è poco uso dei bassi, di una timbrica grave che potrebbe invece dare maggiore colore alla voce.
Per sua natura la voce della protagonista è fortunatamente presente e piena: propongo quindi un pò di “allenamento” nell’esplorazione della propria vocalità e propongo di provare a uscire dalla abituale zona di comfort (i toni alti) per presentare, attraverso l’uso della voce qualcosa di sé che abitualmente non viene rivelato e che invece potrebbe essere un ulteriore punto di forza per approfondire l’incontro con l’audience presente (naturalmente bisognerebbe poter ascoltare uno speech privato per vedere fin dove questa voce si può spingere nelle tonalità degli alti e dei bassi e impostare con un coach anche un lavoro di sfumature).
A livello di linguaggio del corpo anche qui, in alcuni tratti del Tedx di Valeria Filì, osservo che vi sono pochi gesti, e sono gesti che si ripetono, gesti scelti, misurati. C’è inoltre un grande controllo del movimento delle mani con una rotazione del corpo “destra centro sinistra” (e viceversa) senza particolari variazioni. L’impostazione è piuttosto formale, e, nonostante il continuo rivolgersi al pubblico, qualche volta si concede poca interazione, poca apertura.Anche lo sguardo mobile (destra centro sinistra) se da un lato consente il vantaggio di raggiungere in pochi secondi più interlocutori, dall’altro potrebbe negare un contatto più profondo con l’interlocutore stesso: il rischio è che gli occhi possano quindi dare l’idea di “guardare senza soffermarsi”, di non percepire davvero le reazioni dell’audience coinvolta.
Consiglio a questo proposito più pause, più tempo, più respiro, consiglio di aspettare qualche secondo in più, prima di staccare lo sguardo e ricercare nuovi interlocutori. Occorrerebbe, a mio avviso, lavorare anche sull’effetto del gesto inatteso, osare qualcosa che sia una “spezzatura” in un ritmo regolare e a in una modalità che, nel passare del tempo, poi rischia di abituare chi ci osserva ed ascolta.
Infine, lavorerei su un uso più consapevole dello spazio scenico: quando si ha la fortuna di avere naturalmente “presenza scenica”, come nel caso della protagonista, si può osare di più, allungare o abbreviare le distanze, alternare momenti di pausa al centro per poi spostare il proprio peso scenico nelle aree laterali, o, ancora, giocare lo spazio sulle posizioni frontali per poi spostarsi sul fondo.
So bene quanta fatica, quanta concentrazione e quali difficoltà possano esserci nella preparazione di un Ted Talk: è una sfida complessa che, se abbiamo spirito critico e costante volontà di migliorarci, quasi mai può renderci pienamente soddisfatte e soddisfatti della nostra performance poiché anche per l’oratore più navigato (salvo non si tratti di un professionista della comunicazione efficace) oltre a fattori vincolanti (il fattore tempo, per esempio) vi è sempre l’incognita data dall’audience. La comunicazione è fatta di due elementi di pari importanza che devono interagire trovando un’alchimia: il –la protagonista e il pubblico. E questo è un incontro al buio, con variabili imprevedibili.
Vorrei però concludere con un’osservazione che potrebbe contribuire nel creare maggiore fiducia in sé stessi, migliorando la nostra efficacia comunicativa. Sino ad alcuni anni fa i principali testi di Public Speaking raccomandavano autorevolezza e formalità: oggi si propone, al contrario, una minore distinzione tra formale e informale e si spinge l’oratore verso una ricerca che sacrifichi la perfezione per la naturalezza.
Per citare il grande esparto di Public Speaking, Alberto Castelvecchi: “nel tuo Public Speaking non devi essere perfetto, sii te stesso”.
Essere sé stessi il più possibile. Anche nell’arte di parlare in pubblico.