La sculacciata è entrata tra i reati perseguibili per legge già nel 1979 in Svezia, seguita poi nel 1983 da Finlandia, Tunisia, Polonia, Lussemburgo e molti altri Stati in tutto il mondo. Ultima nella lista nel 2017 la Francia. Secondo una sentenza della Corte Costituzionale del 1996 anche in Italia genitori e insegnanti hanno il divieto di percuote – e quindi anche sculacciare – i bambini. Sculacciare i bambini è però una pratica ancora diffusa come metodo educativo, dove un genitore si impone, con la forza, nei confronti del minore. Gli studi ne hanno dimostrato l’inutilità. Il più recente (una ricerca americana condotta dall’Università del Michigan e pubblicata sulla rivista “Child Abuse & Neglect”) ha analizzato un campione significativo ed eterogeneo di 8.300 persone di età compresa tra i 19 e i 97 anni mettendo in luce un dato che dovrebbe far riflettere molti genitori di oggi: gli adulti che da bambini sono stati puniti con maggior severità dei loro coetanei – quasi il 55% degli intervistati ha riferito di essere stato sculacciato, gli uomini più delle donne, senza nessuna differenza di estrazione sociale – sono incorsi più degli altri in disturbi legati a problemi di depressione e bassa autostima fino ad arrivare all’uso di alcol, droghe e persino al tentativo di suicidio. Insomma hanno conosciuto l’infelicità.
E sembra proprio essere questa la parola chiave che dovrebbe portare ad un cambio di atteggiamento. Un caso su tutti: l’organizzazione della famiglia danese. Secondo i dati OCSE, la Danimarca occupa la posizione della nazione più felice al mondo da quasi 40 anni e la famiglia, felice, ne rappresenta il pilastro fondamentale. Ma l’equazione genitore felice = niente sculacciate è la ricetta perfetta? A leggere il libro “Il metodo danese per crescere bambini felici ed essere genitori sereni” scritto dalle mamme Jessica Alexander (americana) e Iben Sandahl (danese) sembrerebbe proprio di sì. In Danimarca lo stile adottato dai genitori è quello dell’autorevolezza e non dell’autoritarismo. La sculacciata? Inimmaginabile come metodo educativo, anzi è considerato strano e incomprensibile perché i danesi considerano i bambini come persone buone e quindi non meritevoli di violenza. A differenza degli americani loro non considerano i due anni come i terrible two ma come i trodsalder, cioè tappe di passaggio, un momento naturale, da incoraggiare e sostenere. Una visione positiva che si tramuta quindi in un atteggiamento comprensivo.
Nel corso del 2017 il libro è diventato un vero e proprio metodo che viene sintetizzato in sei principi le cui iniziali formano la parola “PARENT” (genitore):
1. Play (Giocare). Possibilmente gioco libero evitando di programmare i momenti liberi dei figli con le attività extrascolastiche.
2. Authenticity (Autenticità). La sincerità crea maggior consapevolezza di sé. Troppi complimenti possono danneggiare i bambini
3. Reframing (Ristrutturazione). Riformulare un’esperienza vissuta da un’altra prospettiva è la base della resilienza.
4. Empathy (Empatia). Imparare a entrare in sintonia con gli altri e capirli meglio
5. No ultimatums (Nessun Ultimatum). Evitare le prove di forza e avere un approccio più democratico
6. Togetherness (intimità). La rete sociale e lo stile di vita è la base della felicità. I danesi chiamano questo stato hygge. L’hygge in Danimarca si insegna anche a scuola: i bambini lavorano su progetti di gruppo che incoraggiano gli alunni più bravi a diventare più empatici e disponibili nei confronti degli altri.
La ricerca della felicità? Che possa diventare per molte famiglie un buon proposito per questo nuovo anno.