Che le discipline matematiche e scientifiche siano maschiliste lo sapevamo già: nei Paesi avanzati oggi solo uno scienziato su quattro è donna. Solo il 17% di Facebook, il 19% di Google e il 23% di Apple è il prodotto di una tecnologia che parla femminile. Il punto però che lo è anche la Rete. È democratica, si dice, dà spazio ai ricchi e anche ai poveri. Eppure dovremmo chiamarla “il” Rete: secondo gli ultimi dati dell’International Telecommunications Union (Itu) le donne che usano il web sono il 12% in meno degli uomini e la percentuale sale addirittura al 32,9% nei Paesi emergenti. E anche quando a internet hanno accesso, ricorda la World Wide Web Foundation, le donne ricevono più insulti volgari, più aggressioni, più minacce.
La mappa qui sopra parla chiaro: i Paesi azzurri sono quelli in cui gli uomini superano le donne sul web – si noti che questo marchio turchese della discriminazione non risparmia l’Italia – quelli verdi scuri sono i rari Paesi della parità e quelli verdi chiari sono le mosche bianche del sorpasso femminile. La rete è giovane: il 70% degli under 24 nel mondo ha accesso al web. Ma non è donna: solo negli Stati Uniti, in Messico, in alcuni Paesi del Sudamerica e in Australia le internaute hanno azzerato il gender gap. Altrove la disuguaglianza resiste, e in Africa negli ultimi cinque anni è addirittura cresciuta, anziché diminuire.
Ma quanto ci costa, il gender gap nel mondo? Secondo McKinsey, rimuovere tutti gli ostacoli alla parità fra uomini e donne farebbe guadagnare al Pianeta circa 2.800 miliardi di dollari di Pil in più all’anno. Considerando che con 25 miliardi di euro (fonte: la voce.info) il Movimento 5 Stelle conta di fornire un reddito di cittadinanza a 5 milioni di nuclei familiari, pensate quante persone potrebbero abbandonare la povertà grazie alla parità di genere. Facendo un rapido calcolo, sarebbero 400 milioni di famiglie. Diciamo 1,2 miliardi di persone: l’equivalente di tutti gli abitanti della Cina.