A Natale non si scappa. Se durante l’anno siamo diventate ormai delle professioniste dello slalom gigante tra le domande indiscrete di genitori e parenti, a Natale ogni tentativo di fuga è vano. Così strette tra la zia e la nonna che ci riempiono il piatto di polpettone e di insalata russa non ci resta che capitolare. “Quando ci fai un nipotino?” mi ha chiesto, per esempio, mia zia puntuale come il raffreddore d’inverno, durante il pranzo di Natale. Fortunatamente (ma non sono così sicura che la parola giusta sia “fortuna”), prima che io potessi ingoiare il boccone e farfugliare qualche parola senza senso tipo “contratto”, “affitto”, “soldi”, “casa”, è intervenuta l’altra zia a spegnere la curiosità. “Ormai con lei ho perso le speranze”, è stata la sua risposta lapidaria.
Purtroppo credo di essere in buona compagnia. Se infatti nel 2016 l’infelice campagna #fertilityday ci aveva chiamate tutte in causa consigliandoci “di non aspettare troppo”, diverse ricerche realizzate nell’anno appena terminato hanno confermato che noi trentenni i figli non li facciamo per dei motivi ben precisi. Al primo posto la difficoltà di entrare nel mondo del lavoro, la precarietà che non sembra diminuire e poi, in agguato, (come abbiamo raccontato anche qui e qui) il rischio che un figlio significhi la fine della propria carriera. Forse è questo che avrei dovuto dire alle zie, ma con il polpettone in bocca era piuttosto difficile.
Le domande indiscrete non hanno risparmiato nemmeno una coppia di amici che è venuta a trovarmi il giorno di Santo Stefano assieme alla loro simpatica infante di appena tre mesi. In questo caso, la scure dell’indiscrezione è stata brandita da mia madre. Il quesito sotto l’albero è stato per loro il classico: “quando vi sposate?”. Domanda resa ancora più legittima dal fatto che i due hanno già figliato (la simpatica infante di cui sopra). La risposta, vista l’intelligenza dei soggetti in questione, è stata un grande sorriso seguito da una lunga sorsata di te. A voler dire davvero come stanno le cose, sarebbe bastato ricordare i numeri dell’ultima fotografia scattata alla popolazione del nostro Paese dall’annuario Istat: nel 2015, i matrimoni sono stati circa 194mila (in leggera crescita rispetto ai 189mila del 2014). Un numero ben distante dagli oltre 404mila del 1971. Può andare come risposta alternativa al sorriso?
L’ultima domanda indiscreta a cui ho assistito è stata fatta “in differita” e la risposta in questo caso l’ho data io, riportando quanto dettomi dalla coppia di amici le cui scelte di vita avevano sollevato la curiosità dell’ennesima (mia) parente. Alessia e Andrea (i nomi sono ovviamente di fantasia), vivono da anni in America. Prima lui e poi lei hanno trovato lì le possibilità e i riconoscimenti che qui in Italia non riuscivano a ottenere nonostante il loro innegabile talento. “Il mio relatore all’epoca mi disse che non era il mio turno per l’assegno di ricerca perché c’erano colleghi che dovevano essere sistemati per motivi diciamo ‘diplomatici’”, mi ha raccontato lui mentre imboccava il loro erede dalla voracità indubbiamente yankee. Alessia invece ha smesso di provarci dopo l’ennesimo stage non pagato e una laurea che pur essendo stata conseguita in una delle più rinomate (e costose) università italiane, si stava rivelando quasi inutile. Per tutti questi motivi Alessia e Andrea a tornare in Italia non ci pensano nemmeno. E se anche avessero avuto qualche dubbio, a fugarglieli ci ha pensato la disavventura di un conoscente. “Dopo 15 anni di lavoro in una delle più grandi società ict – mi racconta Andrea – ha deciso di tornare in Italia ma si è sentito proporre uno stipendio quasi 6 volte inferiore rispetto a quanto lo pagano lì. Certo in Italia il costo della vita è più basso però io ho pensato a quello che abbiamo lì, alle possibilità con cui possiamo fare crescere nostro figlio e non ho avuto dubbi”. E io, visti gli interrogativi indiscreti di cui sono stata oggetto a mia volta durante questo lungo Natale di pranzi, cene e merende in famiglia, non ho saputo proprio cosa obiettare.