Il cohusing non è stato inventato dai Millennials. E lo dimostra il progetto per persone LGBT* proposto dalla neonata associazione Agapanto (dal fiore della famiglia delle liliaceae che deve il suo nome al composto greco “amore” e “fiore”). Un progetto di vita insieme e di condivisione raccontato alla senatrice Monica Cirinnà e al senatore Sergio Lo Giudice dai fondatori che sono in procinto di svilupparlo. “Un momento di svolta, di azzardo” secondo Nino di Giosa che ha dato “un nome a un desiderio che dormiva” e che risponde a un’esigenza reale ossia quella di concludere un percorso di vita con chi ha vissuto e lottato insieme per trovare un posto nella società.
Un’intervento che non mi ha lasciato per nulla indifferente. Credo che molti di noi si chiedano cosa possa riservare il futuro, cosa significhi invecchiare, chi rimarrà al nostro fianco, fino a che punto la salute ci sosterrà. Per una persona omosessuale queste domande sono generalmente più pressanti. Più di uno studio statistico ha dimostrato che le persone appartenenti al mondo LGBT* hanno più probabilità di vivere l’ultima parte della propria vita da soli. I motivi sono molteplici. Da un lato il lento percorso di accettazione sociale unito alla refrattarietà della normativa vigente ha fortemente ostacolato nel tempo (e ostacola tuttora) la creazione di nuclei familiari a base omogenitoriale. Dall’altro accade spesso che le persone LGBT* abbiano conflitti con la famiglia d’origine e decidano di tagliare parzialmente o completamente ogni rapporto con loro. Se a questo si aggiunge il complicato processo di accettazione di sé, la situazione non si fa certo più rosea. A prescindere dalla volontà di fare o no coming-out, che è legata a scelte strettamente personali che meritano il più ampio rispetto, chi decide di celare o comprimere la propria vita sessuale e affettiva correrà più di altri il rischio di invecchiare solo.
Tutte ragioni che diventano ancora più pressanti e reali per chi ha vissuto dall’inizio il percorso di rivendicazione e di evoluzione sociale dei diritti. Persone che, molto più delle nuove generazioni, hanno dovuto fare i conti, giorno per giorno con la discriminazione sui luoghi di lavoro e di svago e, nelle peggiori e non rare ipotesi, all’interno dei propri nuclei familiari. Persone che sottoposte a un duro giudizio di odio, spesso hanno trovato la propria famiglia adottiva nella comunità in una dimensione di sincerità piena che non poteva essere trovata altrove. Non stupisce quindi che una delle fondatrici di Agapanto, richiami il concetto della comune, che presuppone un percorso di condivisione di vita e di abitudini.
Potrei concludere qui la mia riflessione su omosessualità e vecchiaia. Tuttavia a mio parere un ragionamento sulla solitudine non può prescindere da un tema altrettanto importante. Di fronte a una così rapida evoluzione del sistema socio-culturale la solitudine che affronta una persona anziana omosessuale è anche una solitudine dettata da un gap generazionale profondo con chi sta vivendo oggi la propria giovinezza. I principi, i valori da difendere hanno probabilmente le stesse matrici ma cambia radicalmente il modo di viverli e affrancarli. Prendendo le mosse da un substrato sociale più evoluto (in termini di diritti) sono elementi che consentono ai giovani di avere un’apertura diversa verso l’altro, che non li spingono a confidarsi solo all’interno della propria comunità. Per non parlare della differenza di strumenti che oggi sono a disposizione di chi vuole vivere la propria omosessualità, incontrare persone, confrontarsi. Oggi ci sono internet, gli smartphone, le applicazioni. Non che siano strumenti preclusi a chi ha più di sessant’anni ma i meccanismi che ne sono alla base, la velocità degli scambi, l’estrema importanza dell’immagine che viene eletta a primo criterio di valutazione dell’altro, sono tutti aspetti che non possono che allontanare le vecchie dalle nuove generazioni scavando un solco che spesso diventa difficile da colmare per chi cerca soltanto un luogo per poter condividere le proprie esperienze. Una frattura che può diventare causa di incomunicabilità tra età differenti quasi che le diverse generazioni parlino addirittura di diverse omosessualità. Allora un omosessuale anziano che racconta le sue esperienze, la sua giovinezza, può sembrare un marziano agli occhi di chi sta iniziando a vivere la propria condizione oggi in un contesto completamente differente.
E questo marziano per me ha, da sempre, un nome. Si chiamava Giordano ed è stato una delle figure più rappresentative della comunità LGBT* milanese. In prima fila ad ogni iniziativa a supporto dei diritti era spesso presente nei luoghi di svago, locali, luoghi di incontro, discoteche. A modo suo poeta e filosofo si confrontava con tutte le generazioni, attaccando discorso con chiunque, spesso parlando in versi. Quante volte ho visto gruppetti di ragazzi giovani guardare torvi quello strano ultrasessantenne che girava senza meta raccontando di sè, le sue esperienze. Forse Giordano era la risposta alla solitudine causata da quel gap che crea incomunicabilità tra generazioni o forse soffriva proprio di quella solitudine, non saprei dire, non lo conoscevo così bene. Però mi vien da pensare che realtà come quella di Agapanto possano aiutare i tanti possibili Giordano ancora in circolazione a trovare persone affini con cui condividere parte della propria vita senza dimenticare l’importanza di creare connessioni e trasmettere la propria esperienza alle generazioni future.