Wrabel: quando lo stormo attacca gli individui più colorati

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No, your mom don’t get it
And your dad don’t get it
Uncle John don’t get it
And you can’t tell grandma because her heart can’t take it”

Da adolescenti la famiglia, amata e odiata allo stesso tempo, è una delle parti più importanti della nostra vita. Forse la più importante, il centro del nostro mondo. Allora quando hai tutto il tuo mondo contro cosa puoi fare? E’ la domanda che mi sono posto mentre guardavo il video di The Village” il nuovo singolo di Stephen Wrabel, in arte semplicemente Wrabel, cantautore di fama internazionale nato e cresciuto a Los Angeles. Una domanda che, fotogramma dopo fotogramma, attanaglia lo stomaco perché, a giudicare dalla storia che racconta, non fa sperare in un lieto fine.

“The Village” narra di una ragazza come tante che vive in una famiglia come tante, in un paese come tanti (The Village, appunto). Ha una sola particolarità, si sente imprigionata in un corpo che non è il suo, un corpo che non le consente di stare bene con sé stessa. Per questo tenta di nascondere ciò che ritiene non fare parte di lei: non si trucca, usa abiti maschili e stringe il torace in una fascia stretta stretta che possa celare ciò che agli occhi degli altri la caratterizza, che la identifica come ciò che, intimamente, non è.

In nature the flock will attack any birds that is more colorful than the others because being different is seen as a threat (In natura lo stormo attacca ogni individuo che è più colorato degli altri perché essere differenti è considerato una minaccia). E’ l’incipit del video, parole in sovrimpressione che saranno il filo conduttore di tutto il racconto. Come lo stormo, la famiglia e tutto il mondo che circonda la ragazza non accetta il suo cambiamento e si scaglia contro di lei o, meglio, lui. Un video forte, che punta tutto sugli stati d’animo, le espressioni del viso, i comportamenti. Un video pensato come risposta alle numerose dichiarazioni transfobiche che hanno caratterizzato le cronache negli ultimi mesi. Non è un appello isolato; dopo che Donald Trump ha affermato di voler escludere le persone transgender dall’esercito, il mondo della musica e dei media ha levato in alto gli scudi in loro difesa. A luglio il canale web Billboard, in collaborazione con GLAAD (Gay & Lesbian Alliance Against Defamation – una delle più importanti e potenti associazioni no-profit americane impegnata da tempo a promuovere un’accurata rappresentazione delle persone LGBT*) ha chiesto agli artisti americani di inviare contributi a sostegno della causa transgender. L’appello ha avuto un successo inaspettato, in decine hanno risposto tra cui Sia, Michael Stipe, Rita Ora, The Chainsmokers e lo stesso Wrabel, tanto che di questi appelli si è realizzata una clip diventata virale.

In un’intervista all’Huffington Post, Wrabel spiega più accuratamente la genesi di The Village. Nato e cresciuto a Los Angeles in un contesto molto tradizionale e clericale, l’artista ha fatto coming-out nella sua parrocchia. Si è, quindi, ritrovato nelle mani di un “gay-guru” che gli ha offerto la possibilità di seguire delle teorie riparative. “Ma non ho potuto” spiega. La ragione? Semplice. Il Wrabel allora ventitreenne si è ricordato che quel Dio che ama tutti, quel Dio per cui gli chiedevano di cambiare, è sempre stato, soprattutto, il Dio dei fuori-casta, il Dio che lava i piedi a chi nessuno li vuole lavare. Da quel momento in poi il suo percorso è stato difficile e solitario, intrecciato con la sua carriera musicale. Proprio nel corso di uno dei suoi tour ha incontrato e conosciuto due teenager transessuali, le loro compagne, le loro famiglie: “Questi due ragazzi, erano sé stessi, semplicemente sé stessi senza nulla da nascondere” – racconta. Un’accettazione e una semplicità che lo hanno stupito, paragonate al suo travagliato coming-out. Per questo di fronte all’odio e agli attacchi delle ultime settimane è nato “The Village”. Perché quella semplicità non andasse distrutta ma fosse un esempio per tutti, per i giovani e le giovani transgender ma anche per chi li circonda, perché non cresca l’odio ma comprensione e condivisione. Per questo il cantautore ha deciso di raccontare una storia, una storia come tante, una storia di umanità che spieghi che la transessualità non è una fase, né un mito.
The Village termina con un’immagine molto bella: il quadro che il ragazzo trans dipinge per tutta la durata del singolo e che fa crescere la curiosità di chi lo guarda. Non la descrivo, bisogna guardarlo per non togliere la poesia.

In un mondo che ci pone di fronte a una recrudescenza di azioni e dichiarazioni transfobiche, “The Village” è una storia che permette di dare la giusta dimensione alle cose; ci fa capire che ognuno di noi dovrebbe avere il coraggio di uscire dalla propria comfort-zone, dagli ambienti che gli sono congeniali e guardare il mondo con gli occhi di chi ci sta accanto, mettendosi nei suoi panni. Se solo si mobilitasse tutta una comunità, senza odi né rancori, senza egoismi: “we are here and we are who we are and we are valid, we all have our own realities , our own stories , our own past, present, and hope for the future” (noi siamo qui e siamo chi siamo, e valiamo qualcosa, abbiamo tutti le nostre realtà, le nostre storie, il nostro passato, presente e la speranza per il futuro”). Se solo si mobilitasse l’intero “Village”…