Il Pd lancia il Dipartimento mamme: oltre alla polemica social c’è di più

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“Una bieca operazione di marketing politico”, affermano le detrattrici. Come la bersaniana Chiara Geloni di Articolo1-Mdp, che punge: “Perché non un responsabile babbi?”. Ma dietro il lancio del Dipartimento mamme da parte del Pd e le polemiche social che ne sono seguite c’è di più, come è emerso ieri al convegno “Maternità libera scelta? Un Paese per donne e uomini” promosso alla Camera proprio dalla responsabile del neodipartimento, la deputata dem Titti Di Salvo, un passato da sindacalista e in Sel. Che giura: “Il nostro obiettivo è quello di rendere la maternità e la paternità una libera scelta, mettendo al centro la questione e promuovendo l’aumento della partecipazione delle donne al mercato del lavoro, perché conviene a tutti”.

Allora perché il nome “mamme”? Che quello delle madri sia un target appetibile con la campagna elettorale alle porte è certo. Che l’etichetta sia fuorviante, anche. La giornalista e blogger Loredana Lipperini non ha apprezzato: “Finché non si dirà che il cammino è comune (padri e madri, insieme: e non lo dico io, lo diceva Simone de Beauvoir negli anni ’40) non se ne esce. E ignorare che una parte di quel cammino è iniziata usando la dicitura ‘Dipartimento mamme’ è gravissimo”. Perché non Dipartimento genitori o Dipartimento famiglia? “È in corso – attacca Lipperini – una sempre più imponente ondata (anche di ex o attuali femministe) che sospinge le donne verso il destino biologico. Il Dipartimento mamme sembra sancire ufficialmente e politicamente quel ‘torna a casa, cara’. E non rendersene conto è gravissimo, di nuovo”.

Si tratta del classico caso di un contenitore (ammiccante) che non corrisponde al contenuto. Relatori e relatrici (tante giornaliste, perché l’idea è stringere patti con i diversi mondi, dalle imprese ai sindacati, e quello dell’informazione è stato il primo interlocutore scelto) hanno riconosciuto senza distinzioni che il tema del lavoro e della maternità vanno a braccetto e che l’impegno comune deve essere quello di far uscire la maternità dal binomio destino-desiderio negato. “La sfida è renderla compatibile con il lavoro”, ha sostenuto Maurizio Del Conte, presidente dell’Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro. Convinto che la vera rivoluzione “è quella che in futuro ci porterà sempre più verso misure unisex”.

Nel mentre, si procede a colpi di bonus. Il convegno è stato l’occasione per ricordare quanto fatto dal governo Renzi, dall’abolizione delle dimissioni in bianco alla maternità riconosciuta anche alle lavoratrici autonome, dal welfare aziendale all’allungamento del congedo di paternità obbligatorio (simbolico e pochissimo fruito), fino al lungo elenco di incentivi: bonus mamme, bebè, asilo nido, baby sitter. Dall’esecutivo Gentiloni,Marco Leonardi, a capo del team economico di Palazzo Chigi, è stato cauto: “Non sono in grado di fare promesse per la prossima legge di stabilità, manovra delicata non solo dal punto di vista dei conti pubblici. Cercheremo di rafforzare quanto è stato fatto, misure universali e non. Ma l’orientamento sulla famiglia deve essere centrale per la prossima legislatura”.

L’orizzonte si allunga, a discapito dell’urgenza. Davanti alla quale le “piccole misure non bastano più: serve una strategia di lungo periodo”. Linda Laura Sabbadini dell’Istat lo ha detto con estrema chiarezza: “Ammonta a 51 miliardi di ore il totale del lavoro di cura di tutte le donne italiane, un numero molto più alto di quello delle ore di lavoro retribuito di donne e uomini, pari a 41 miliardi. Questo enorme carico di lavoro è fortemente mal distribuito e non considerato”. Occorre rimediare in fretta. Da un lato redistribuendo nella coppia, sfruttando la voglia di collaborare mostrata dai giovani padri; dall’altro nella società, affrontando di petto il problema della carenza dei servizi, “che sono molto costosi”. Altrimenti non si vince la sfida della natalità, che è direttamente collegata a quella dell’occupazione. Nel senso contrario a quel che si pensa, come ha ribadito nella relazione annuale il presidente Inps Tito Boeri: più le donne lavorano, più fanno figli. Più il Paese cresce, attingendo a quel “giacimento di Pil potenziale” che invece – con quel misero 48,5% di occupazione femminile che ci colloca in fondo alla classifica Ocse, sopra soltanto a Turchia, Messico e Grecia – così va disperso. Se ci fosse un Dipartimento crescita, il lavoro delle donne, e dunque i temi della maternità e della paternità, dovrebbero occupare il primo posto in agenda.

  • Lavinia Arcesi |

    Bella proposta, invece di iniziare a discutere di ” falsi problemi ” come il nome del dipartimento “per le mamme” o “per la famiglia” , che è realmente un ” falso ” problema perché le mamme sono parte integrante e “motore ” della famiglia, si discuta di cose pragmatiche e soprattutto da mettere in atto il prima possibile a favore di chi fa i figli da gestire ” quotidianamente ” e allo stesso tempo Deve lavorare per mantenere la famiglia. Una volta tanto date il buon esempio: comportatevi da ADULTI “padri di famiglia ” , non da “FIGLI”!!

  • Claudio Moscogiuri |

    Le donne più sensibili non vogliono essere schiacciate nel ruolo esclusivo di mamme, gli uomini più padroni della propria vita non vogliono essere schiacciati dalle mamme….. E’ forse venuto il momento che ognuno la smetta di utilizzare a proprio vantaggio ruoli e status a seconda delle convenienze e di iniziare a parlare di persone che insieme gestiscono le proprie vite e quelle degli altri semplicemente secondo quelle che sono le rispettive inclinazioni e desideri.

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