Essere felici senza comprare? Ammettiamolo, è una provocazione bella e buona. Shopping e saldi tendono a scatenare in quasi tutte le donne comportamenti quasi irrazionali. Porre un freno o invitare a non acquistare suonerebbe per molte come una sfida: non importa se quella borsa non mi serve, non importa se di quel capo ho già dieci versioni dimenticate nell’armadio, non importa se quel colore mi spegne l’incarnato, non importa se quel pantalone mette in evidenza quello che invece vorrei nascondere, non importa se quella camicia è assolutamente importabile per via della sua costruzione (e comunque non starà bene con niente di ciò che già possiedo), non importa se è evidente che quel golfino che costa così poco non passerà nemmeno la prova del primo lavaggio. Non importa: ci sono i saldi e, quindi, ci sono anch’io.
Sensi di colpa ne abbiamo? Pochi. In fondo siamo vittime del nostro tempo. Come sostiene la sociologa Laura Bovone nel suo libro Rappresentarsi nel Mondo: comunicazione, identità, moda, l’invididuo post-moderno è “principalmente concentrato ad accumulare esperienze ed emozioni (…). L’età dell’incertezza è anche l’età del consumo affannoso, del desiderio inseguito al di là di ogni bisogno e ragionevolezza“.
E’ chiaro tuttavia che questa corsa all’accaparramento di beni e di indumenti ci sta un po’ disorientando perché non riusciamo ad usufruire e godere di ciò che acquistiamo, sempre presi nella frenesia di inseguire i ‘must-have’ e sentendoci sempre e comunque inadeguati rispetto all’incalzare delle tendenze. Zara per esempio immette nei suoi negozi circa 10.000 nuovi design ogni anno, con un rinnovo merce due volte la settimana: significa che ogni 3-4 giorni potremmo trovare qualcosa di nuovo da acquistare. Non solo: le aziende del fast fashion producono spesso capi di qualità non elevata per mantenere prezzi bassi e per indurre i consumatori a rimpiazzare il proprio abbigliamento più rapidamente.
Se per alcuni fare shopping è un’attività quasi quotidiana, per molti può avere cadenza settimanale. Si stima che attualmente acquistiamo in media quattro volte più indumenti di quanto facessimo solo vent’anni fa. E possiamo per questo considerarci più felici o soddisfatti? Pare proprio di no, e ce lo conferma anche un recentissimo report di Greenpeace pubblicato in occasione del Copenhagen Fashion Week. Analizzando i motivi (e i danni per il portafoglio e per il pianeta) dello shopping compulsivo, emerge un dato su tutti: dei milioni di capi acquistati nel mondo, molti restano non indossati e persino con l’etichetta ancora attaccata (51% Cina, 41% Germania, 53% Hong Kong, 46% Italia, 40% Taiwan). Forse perché, come ha confessato la maggior parte delle persone intervistate, la soddisfazione dello specifico acquisto dura solo un giorno.
Vogliamo quindi frenare questa corsa allo spreco, nonché rimediare alla saturazione degli armadi, liberarci dall’insoddisfazione di non sentirci mai stilisticamente realizzate, smettere di frustrarci davanti allo specchio del camerino pensando che non ci sta mai bene niente (quando in realtà sono i capi che non sono tagliati bene ed i tessuti sono quello che sono)? Non ci resta che provare a disintossicarci da questa (talvolta grave) dipendenza da shopping (e anche se non è così grave magari ci aiuta a risparmiare) adottando buone pratiche come le seguenti:
1. crearsi durante l’anno una ‘shopping list‘ di ciò che serve davvero, in modo da andare alla ricerca solo dei pezzi necessari alla prima occasione di acquisto (come i saldi, per esempio!)
2. darsi un budget adeguato per capi di qualità che resistano stagione dopo stagione
3. prima di acquistare domandarsi “quante volte indosserò questo capo?” (almeno 20 volte è un utilizzo minimo)
4. far respirare il proprio guardaroba eliminando i pezzi che non funzionano (e conteggiandone i singoli prezzi di acquisto, giusto per quantificare)
5. essere creativi con ciò che possediamo, per scoprire i lati nascosti del nostro stile
6. organizzare swap-parties con le amiche: scambio di abiti, chiacchiere e risate.
E se proprio vogliamo o possiamo fare shopping, puntiamo più alla qualità e meno alla quantità: a parità di spesa complessiva in un anno avremo meno capi ma ci sentiremo più libere e gratificate.