Mafie sempre più a braccetto con i comuni. La risposta parte dall’Università

mafie2L’ultimo, in ordine cronologico è stato Sorbo di San Basile, nel catanzarese; il 6 giugno scorso è stata la volta di Castelvetrano, il paese siciliano del boss Matteo Messina Denaro. Stiamo parlando di amministrazioni comunali sciolte per infiltrazioni mafiose, un ambito in cui nel 2017 si potrebbe raggiungere una cifra record. Da inizio anno al 10 giugno, in tutta Italia, sono stati già firmati 13 decreti per lo scioglimento di comuni: cinque centri sono calabresi, come Gioia Tauro, uno pugliese, quattro campani, due siciliani. Ma non manca neanche un centro al Nord: il ligure Lavagna. Se si manterrà lo stesso ritmo fino a dicembre, il 2017 potrebbe essere uno degli anni col maggior numero di amministrazioni locali colpite da simili procedure.

mafia5Nel 2016, per fare un esempio, i decreti di scioglimento sono stati “solo” sette mentre per arrivare a un’annata particolarmente ‘ricca’ bisogna risalire al 2012 (quando si è raggiunta quota 23). Numeri come quelli che si profilano per l’intero 2017 non si vedevano, eccezion fatta per il 2012, dal 1993, l’anno post grandi stragi della mafia siciliana quando vennero sciolte ben 34 amministrazioni comunali. Che sta succedendo? Si torna indietro? Avviso Pubblico (Enti locali e Regioni per la formazione contro le mafie) ricorda come in Parlamento siano state presentate numerose proposte di legge per modificare la disciplina vigente e rendere più efficace l’azione di ripristino della legalità. Secondo docenti universitari esperti della materia, la mafia, più lontana dalla politica nazionale, va sempre più a braccetto con le amministrazioni locali. Ne parliamo con Enzo Ciconte, docente di ‘Storia della criminalità organizzata’ a Roma Tre e ‘Storia delle mafie italiane’ a Pavia, e con Vincenzo Antonelli, docente di diritto amministrativo e vice direttore del Centro di ricerca sulle amministrazioni pubbliche ‘V. Bachelet’ della Luiss Guido Carli.

mafia6“Dal punto di vista formale, politica e Governo- spiega Ciconte – combattono la mafia. Da quello sostanziale, però, continuano a mantenere il rapporto con le organizzazioni, soprattutto a livello locale. E questo avviene perché oggi i centri di spesa si sono spostati a livello regionale e comunale. Ai fini delle criminalità organizzata, insomma, conta più un sindaco di un deputato”. Gli fa eco Vincenzo Antonelli: “Le amministrazioni sono più permeabili e si registra una ripresa del fenomeno, non possiamo abbassare la guardia. A una diminuzione dei fatti di sangue si sta infatti accompagnando una costante crescita dei fenomeni di condizionamento delle amministrazioni. Ciò vuol dire che viene inquinato il circuito democratico. La mafia condiziona le pubbliche amministrazioni utilizzando principalmente due leve: la minaccia presso gli amministratori, nel tentativo di assoggettarli, e le infiltrazioni nell’amministrazione della cosa pubblica, arrivando a un vero e proprio condizionamento”.

UNA MAFIA DAL VOLTO NUOVO. A 25 anni dalla strage di Capaci, la mafia si presenta con un modo di operare molto cambiato. “Le differenze- racconta Ciconte – sono enormi. Se fotografiamo la realtà di oggi vediamo che la mafia siciliana, prima la più potente, dopo la cattura di Provenzano, anche se non possiamo dire che è stata sconfitta, è completamente diversa. La stessa cosa vale per la camorra: nelle versione dei Casalesi, oggi agli arresti o collaboratori di giustizia, è finita. Rimane la camorra napoletana dove non ci sono capi, ma giovinastri che ammazzano per un nonnulla. Quella che è ancora molto forte, e che è diventata più potente, radicata a livello nazionale e internazionale, è la ‘ndrangheta. E’ la più dinamica, la più globalizzata. In più a Roma c’è Mafia Capitale. Si discute se si possa chiamare mafia o meno, ma quando c’è il metodo mafioso la mafia c’è. Si ritiene spesso che per fare mafia ci vogliano calabresi, siciliani o campani. Eppure una mafia condannata in quanto mafia c’è già stata nel Nord, nel Veneto: la mala del Brenta. La mafia non è nel dna dei meridionali. Calabresi, siciliani, napoletani hanno dato origine a grandi organizzazioni criminali, ma anche coloro che hanno combattuto la mafia sono prevalentemente siciliani, calabresi e campani”. Di come è cambiata e sta cambiando la criminalità organizzata, dalle stragi degli anni ’90 a oggi, si parlerà il 16 giugno al seminario formativo organizzato dall’università Luiss in collaborazione con Avviso Pubblico.

CAMBIANO I CLAN, E LA DONNA DIVENTA PIU’ POTENTE. In questi 25 anni è cambiata la mafia, sono cambiate le organizzazioni criminali. E con esse il ruolo della donna nei clan. “Oggi – spiega Ciconte – la donna nelle organizzazioni mafiose è diventata più forte. D’altronde la donna nella mafia ha seguito l’evoluzione della donna nella società italiana; conta molto più di prima. Spesso poi le organizzazioni sono state colpite e indebolite nel ramo maschile per cui la donna, per supplire alle carenze, ha acquisito una maggiore importanza. Anche la trasformazione della mafia, attualmente più imprenditrice e dedita agli affari, ha influito nel rafforzamento del potere della donna. Oggi si tratta di gestire patrimoni, non tanto di commettere omicidi” . La donna ha un ruolo chiave anche nel caso dei collaboratori di giustizia. “Spesso – prosegue il professore – sono le donne che, per conservare il loro potere nei piccoli centri dove vivono, impediscono ai loro uomini di collaborare, oppure, in altri casi, li spingono a farlo per proteggere i figli”.

L’UNIVERSITA’ PIU’ PRESENTE NELLA LOTTA ALLE MAFIE. Di fronte alle trasformazioni camaleontiche della mafia e alla sua presenza sempre più capillare a livello locale, una risposta parte dalle università. “Ultimamente – spiega Enzo Ciconte – l’università si sta svegliando. Undici anni fa sono stato il primo a insegnare storia della criminalità organizzata a Roma Tre. Oggi diverse università tengono corsi simili, anche se fanno eccezione le cattedre dedicate proprio a questa materia. Certo c’è un enorme ritardo culturale riscontrabile anche all’interno del Ministero che non ha mai voluto bandire concorsi per cattedre di questo tipo”. Anche Antonelli della Luiss indica nell’università la culla per far nascere la cultura della legalità e creare così gli anticorpi contro la criminalità. “La lotta alla mafia – spiega – si combatte non solo col mero rispetto delle regole, ma con la legalità dei diritti. Oggi la mafia colpisce quando lo Stato non riesce a garantire i diritti. L’idea è portare avanti una legalità dei diritti, non solo la repressione. E l’Università può essere la culla dove matura questa cultura”. Un’iniziativa che va in questa direzione, esemplifica Antonelli, è quella che ha portato avanti l’università Luiss che, grazie a un accordo con l’associazione Libera, consente agli studenti di fare un periodo di volontariato estivo nelle cooperative che gestiscono i beni confiscati alla mafia.

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  • Paola |

    vorrei avere indicazioni precise su quali supermercati evitare, quali marchi boicottare…per muovermi come cittadino attivo contro la mafia

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