“I papà hanno il diritto di non abbinare maglietta e pantaloni quando vestono i figli”
“I papà hanno il diritto di non saper fare i codini dritti alle proprie figlie”
“Il papà hanno il diritto di andare a giocare a calcetto una volta alla settimana”
“I papà hanno il diritto di non conoscere il numero di telefono della pediatra e della babysitter”
Un rapido sondaggio mi ha chiarito che i diritti che rivendicano i papà (reali) sono ben diversi da quelli citati nei quindici articoli de “La dichiarazione dei diritti dei papà”. Un esempio?
Sull’ultimo punto saranno d’accordo in diversi, così come sulle coccole. Sull’alzarsi di notte o cambiare i più piccoli i volontari sembrano ancora scarseggiare. Allo stesso modo non se ne vedono molti in giro di papà appassionati per l’articolo 13:
Perché, diciamocelo, se i papà volessero stirare o cambiare i pannolini, non credo che troverebbero ostacoli insormontabili di fronte al loro afflato da lavori domestici e di cura. Perché è vero che noi donne abbiamo la mania del controllo, ma è anche vero che la stanchezza di fine giornata ci sta educando a delegare. E siamo assolutamente in grado di lasciar fare. Tanto che di fronte al congedo di paternità non ci opporremmo:
Ecco, qui la questione è più complessa: entra in gioco il ruolo professionale, l’ostruzionismo del capo, la derisione dei colleghi e così via. Sta di fatto che in Italia nel 2015 i papà hanno usufruito del congedo parentale (in alternanza con la madre) in 44.700 casi, con un incremento rispetto all’anno precedente del 22,3% e del 39,8% rispetto a cinque anni prima, ma su un totale di 486mila nascite. Riguardo, invece, al periodo immediatamente successivo alla nascita, per i padri (lavoratori dipendenti) la legge Fornero del 2012 ha introdotto un giorno di astensione obbligatoria e due giorni di astensione facoltativa (in questo caso in alternativa alla madre). A usufruire del congedo obbligatorio di paternità sono stati 72.630 papà nel 2015 (67.664 nel 2014 e 50.474 nel 2013). Per il congedo facoltativo il calo è drastico: se ne contano soltanto 9.582 nel 2015 (8.131 nel 2014 e 5.432 nel 2013).
L’Unione Europea ha invitato ripetutamente gli stati membri a legislazioni più favorevoli a lavori di cura condivisi e, anche se in modo minimo, l’Italia sembrava muoversi in quella direzione. Nel novembre scorso nel testo della legge di Stabilità, era previsto che i giorni di congedo obbligatorio per il padre passino dall’uno attuale a due nel 2017 e a quattro nel 2018, da prendere entro i primi cinque mesi di vita del bambino. Questi quattro giorni non sono alternativi a quelli della madre, mentre un quinto giorno, facoltativo dal 2018 sempre nei primi 5 mesi del bambino, è alternativo alla mamma. Ma ieri qualcosa è successo. Secondo quanto riportato da La Stampa, l’Inps con il messaggio n.1581 del 10 aprile comunica che la misura di due giorni obbligatori più due facoltativi per il papà «si ferma ai soli figli/e nati, adottati o in affidamento nel 2016». Ne consegue, precisa sempre l’Inps, che il congedo facoltativo per i padri lavoratori dipendenti può essere fruito nei primi mesi del 2017 (entro il consueto termine di 5 mesi solamente per eventi parto, adozione e affidamento avvenuti nel 2016). E per i nati nel 2017?
Ma che siano due o quattro, sono sempre molto pochi rispetto al miraggio dei 15 giorni, che secondo il presidente dell’Inps, Tito Boeri, dovrebbero essere obbligatori. Perché che siano due o quattro, l’Italia resta fanalino di coda e non solo in Europa. Eppure i benefici di un vero congedo di paternità sono anche testimoniati da diversi studi. Poi ti fermi un attimo e vai a guardare le proposte di legge che giacciono in Parlamento a riguardo: una alla Camera a prima firma Titti DI Salvo (deputata del Pd), un’altra (sotto forma di emendamento) al Senato a firma Valeria Fedeli (attuale ministra dell’Istruzione). E ti sorge lo stesso dubbio che ti è venuto leggendo gli autori, anzi le autrici, de “La dichiarazione dei diritti dei papà”: Élisabeth Brami e l’illustratrice Estelle Billon-Spagnol. Ma non sarà ora che in entrambi i casi, siano gli uomini (papà, neo-papà, futuri-papà, forse-papà-un-giorno) a scriversi i loro diritti? Non dovrebbe importare a loro per primi ridisegnarsi un ruolo all’interno delle famiglie? Deve essere una donna a scrivere: “Il diritto a continuare ad essere papà anche se sono separati, se sono spesso via o se lavorano in un’altra città”.
Il libro è breve, colorato, simpatico e anti-stereotipi di ogni genere. Ho fatto la prova con i miei bambini e a loro non ha detto granché. Forse potrebbe, invece, aprire delle strade “impensate” ai papà. Potete sempre provare a lasciarlo abbandonato in giro per casa. Magari lo leggono e magari si accorgono che alcuni diritti vengono ancora loro negati. Se poi vogliono continuare a delegare un ruolo fondamentale come quello del papà, almeno lo faranno con un sottofondo di consapevolezza in più.