Il fenomeno della moda senza connotazioni di genere è ormai globale. Non si tratta di una semplice tendenza moda, ma di un vero e proprio movimento. Lo dimostra la scelta di colossi del fast-fashion come H&M, Zara e Guess di lanciare nuove linee definite ‘no gender’: collezioni che possono essere indossate indifferentemente dagli uomini e dalle donne.
Il termine ‘no gender’ (o ‘agender’, ‘genderless’, ‘gender free’, ‘gender neutral’, ‘gender fluid’) non va però confuso con ‘unisex’, un concetto sviluppatosi negli anni ’60-’70 con l’emancipazione femminile e le ribellioni anti-borghesi, che vedeva nella condivisione dell’abbigliamento il modo di trovare un punto di unione tra i due sessi.
Il ‘no gender’ è invece l’affermazione dell’assenza di genere. Si tratta di un’attitudine che si basa sull’idea che le norme, la lingua e le situazioni sociali dovrebbero evitare di utilizzare il genere come principio di differenziazione e quindi di discriminazione. Il nuovo focus è l’individuo che deve potersi vestire come preferisce senza limitazioni imposte dagli stereotipi di genere.
Il settimanale Time, lo scorso marzo, ha dedicato a questo argomento una ‘cover story’ dal titolo ‘Beyond He or She‘. Ma l’interesse verso il no gender ha radici più lontane. Già nel 2015 la catena britannica di grandi magazzini Selfridges aveva lanciato l’Agender Project: un’iniziativa, durata un paio di mesi, durante la quale due piani dello store londinese erano stati destinati a collezioni accessibili sia a uomini che a donne. Lo scopo? Far sì che tutte le persone potessero sentirsi libere di acquistare in base alla propria individualità piuttosto che in base al sesso. L’esperimento aveva un doppio obiettivo. Da un lato riuscire a raggiungere un nuovo tipo di clientela, e dall’altro sollecitare la riflessione sul fatto che si può pensare oltre gli stereotipi.
Secondo una ricerca condotta da Innovation Group (J.W.Thomson), sono soprattutto i più giovani a percepire le differenze di genere come un abito un po’ troppo stretto. Circa la metà degli intervistati (età 13-20) ha affermato di conoscere persone che preferiscono utilizzare pronomi personali neutri (‘ze’ al posto di ‘she’ o ‘he’). Mentre un terzo è d’accordo sul fatto che il genere non è più sufficiente a definire una persona.
Spetta quindi alle aziende seguire con attenzione questa fascia di mercato – la cosiddetta ’generazione Z’ – e intercettarne i desideri. Secondo la società di marketing intelligence Mintel, i nati tra il 1995 e il 2010 avrebbero una capacità di acquisto annuale di 44 milioni di dollari. Un dato destinato a crescere visto che la generazione Z nel 2020 rappresenterà il 40% dei consumatori.
Ma cosa caratterizza queste collezioni senza connotazioni di genere? Linee semplici e poco sagomate, assenza di dettagli, colori neutri, con forte presenza di pantaloni diritti, casacche, maglie con cappucci, camicioni ampi. Ma non solo. Le collezioni sono così asettiche e neutrali da sembrare quasi prive di energia e di personalità. Eppure, grazie alla loro neutralità, riescono a conferire un segno distintivo a chi ne indossa gli abiti.
Per alcuni consumatori e consumatrici sarà una moda passeggera: si divertiranno a mixare femminile e maschile (come già avviene), e si cimenteranno in un’estetica nuova, senza che tutto questo abbia per loro implicazioni sociali o sessuali.
Per altri consumatori queste collezioni rappresenteranno, invece, l’occasione per avvicinarsi a una moda meno schematica e più affine alla propria identità o al proprio stile di vita.
Per altri ancora sarà un modo per distinguersi attraverso un’estetica contemporanea, fuori dagli schemi, coraggiosa e indipendente.
Il tema non è perciò se le aziende del settore moda abbracceranno questo trend, ma quando e come lo faranno. Contribuendo, inoltre, con le proprie scelte a ridefinire un target commerciale su cui hanno gli occhi puntati non solo i brand del fashion ma anche il mondo della cosmesi. Il mondo della moda è avvisato: il confine tra mosse commerciali e scelte al passo con i tempi è sempre più sottile.