Miki Agrawal ha creato in America una startup innovativa che si chiama Thinx. Thinx produce biancheria intima che elimina la necessità di usare tamponi, assorbenti e coppette mestruali – queste ultime in America e nel nord Europa sono di uso comune e in Italia sono semi-sconosciute. I prodotti della Thinx potrebbero aprire la via a una rivoluzione nella gestione del ciclo mestruale: se si diffonde un abbigliamento intimo simile è destinato a far fuori un mercato che si alimenta del fatto che ogni donna in età fertile spenda obbligatoriamente circa 4 euro al mese per 12 mesi all’anno. Solo in Italia, 48 euro per 15 milioni di donne fa una spesa di circa 720 milioni di euro all’anno – consumo tra l’altro tassato da noi al 22% perché non considerato “essenziale” come sono considerati invece il pane, la pasta e i giornali. Con la biancheria intima da mestruazione si tornerebbe, insomma, ad usare il tessuto, tecnica precedente a quella degli assorbenti usa e getta (e l’ambiente ringrazierebbe). Anche se i pareri sul web sono ancora molto contrastanti, fra chi ha sperimentato Thinx.
Ma torniamo a Miki Agrawal, che nel frattempo è oggetto di notizia per il suo atteggiamento sessista verso i 30 collaboratori della Thinx. Pare infatti che Miki giri per gli uffici facendo commenti sul seno delle impiegate e arrivando persino a toccarlo. Pare anche che abbia tenuto conference call senza vestiti, dal proprio letto, e che abbia chiesto ai suoi interlocutori consigli di carattere sessuale. Per questo, negli ultimi tre mesi ben 10 persone del team hanno sporto denuncia e hanno lasciato la Thinx.
Sessismo e abusi verbali non sono questa grande novità nel mondo delle startup, stanno anzi emergendo storie sempre più dettagliate dalla Silicon Valley, ma l’elemento sorprendente di questa storia è che Miki è una donna: una donna di 38 anni considerata una role model dalle giovani americane, che hanno comprato in massa il suo libro: “Do cool sh*t”, per settimane tra i libri più venduti su Amazon. Per altro la stessa Agrawal si dichiara femminista nella presentazione del suo sito personale.
Quindi rivediamo la scena: Miki, che ama farsi chiamare “she-EO” invece che CEO per sottolineare di essere una CEO donna, gira tra le scrivanie facendo apprezzamenti volgari sui decolleté delle colleghe, e arrivando persino a toccarli. Miki che fa conference call dal proprio letto, nuda, chiedendo consigli ai colleghi su come provare piacere, secondo quanto riportato dalla stampa americana. Miki che scimmiotta e ripropone il peggio del sessismo maschile per dimostrare che il bullismo non ha sesso.
A quante donne è capitato un capo donna che si è comportato peggio di qualsiasi uomo? E quanto male fa, al progresso della condizione femminile, avere role model di questo tipo?