Un secondo. Caro Divin Codino…

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O, meglio, caro Roberto, visto che nella mia testa ti ho chiamato sempre così, per nome, come si fa con gli amici. A dire il vero, una volta ti ho anche chiamato così di persona, a Sestola, dove il Bologna andava in ritiro e c’era un’aria di primavera anche se era piena estate, perché Roberto Baggio era venuto a giocare nei Rossoblù che si tornavano a sentire, quell’anno, lo squadrone che tremare il mondo fa, e i compagni erano gioca bene gioca male Paramatti in nazionale, il Mitico Villa, Ciccio Marocchi, Torrisi, Cristallini…

Caro Roberto, tu non lo sai ma io c’ero. Io c’ero quando hai segnato il primo gol in serie A, dopo due brutti infortuni. Mancavano pochi giorni al mio tredicesimo compleanno, e tu giocavi contro il Napoli di Maradona. E hai segnato su calcio di punizione. Se non è destino questo.

C’ero quando, l’anno dopo, ti presentasti con quello slalom a San Siro, a mettere a sedere mezza difesa del Milan. C’ero quando, con Stefano Borgonovo ne segnavate uno a domenica, fino a quell’anno in cui arrivasti secondo nella classifica cannonieri dopo Marco Van Basten e prima di Diego Maradona.

C’ero quando passasti alla Juventus, la mia squadra, che non mi sembrava vero, era come se Francesco Guccini fosse venuto a fare un concerto nel giardino di casa mia. Venne giù il mondo, dalla parte dei viola, e tu rifiutasti di tirare quel rigore contro la tua ex squadra, lo lasciasti a Gigi De Agostini che se lo fece parare (udite udite) da GianMatteo Mareggini. E tu raccogliesti una sciarpa viola da terra mentre venivi sostituito, invece in conferenza stampa ti togliesti dal collo quella bianconera. E’ colpa tua e di Gianni Agnelli se Del Piero è rimasto per sempre “Pinturicchio” (mentre tu eri Raffaello, disse l’avvocato).

C’ero nel 1990, il mio mondiale, perché se a 16 anni capita un mondiale in casa, per me figlio dello Zoff-Gentile-Cabrini del 1982 era un segno del destino, la splendida giovane Italia di Azeglio Vicini doveva vincere, e avremmo vinto senza la zucca bionda di Caniggia e la sfarfallata di Zenga.

C’ero anche nel 1994, in quello che indiscutibilmente è stato il tuo mondiale, quello in cui il peggior commissario tecnico della storia della Nazionale mise il più forte cannoniere di quegli anni, Beppe Signori, a fare il laterale di sinistra e ti affiancò Massaro in attacco. Quello a cui tu desti del matto dopo la sostituzione per l’espulsione di Pagliuca, quello che tirasti giù dall’aereo di ritorno dagli USA – insieme a tutta la squadra e a tutta la nazione – negli ultimi minuti contro la Nigeria e poi portasti fino alla soglia del trionfo, sbagliando quel rigore che non era decisivo, se lo avessi segnato avremmo perso ugualmente, avevano sbagliato Baresi e proprio l’ineffabile Massaro, solo che essendo tu ed essendo quel mondiale, è passato alla storia e non vale la pena spenderci altre parole.

C’ero nel 1998, quando le tue dita separate di pochi centimetri hanno rappresentato la palla calciata al volo che aveva fatto la barba al palo sancendo la salvezza di Barthez e di quella Francia spuntata e fortunata (c’era il golden gol allora!) che poi vinse il mondiale.

C’ero negli anni bui, Inter e Milan, o forse Milan e Inter, li confondo nella memoria perché li considero passaggi a vuoto illuminati ogni tanto, come nello spareggio per l’accesso alla Coppa Uefa dove infilasti una straordinaria doppietta in Inter – Parma, nella porta difesa da un portierino di belle speranze, tal Gianluigi Buffon.

C’ero nelle tue rinascite, Bologna con i suoi 22 gol (il più bello? Quello al volo contro il Vicenza), Brescia quando spingesti Pirlo in mediana costruendo la sua fortuna e ti rompesti di nuovo, tornando a tempo di record e segnando pochi minuti dopo il tuo ingresso in campo dopo l’infortunio, facendomi saltare dalla sedia e correre a telefonare a un amico per annunciargli: “Si è riaccesa la luce”. E mi alzai in piedi anche quando segnasti un gol strepitoso contro la mia ed ex tua Juventus, che l’odiato Van Der Sar si sta chiedendo ancora oggi come tu abbia fatto a mettere giù quella palla…

E ora che sono 50 i tuoi e quasi 43 i miei, Roberto, cosa vuoi che ti dica? Che tra un secondo questo Secondo Prima atipico sarà finito, e io continuo a darti del tu, e a pensare che c’era qualcosa nel tuo modo di muoverti, e di accarezzare il pallone, che hanno reso i miei anni di passione per il calcio, purtroppo finiti, molto molto più belli.