Omar Abdulcadir è un medico ginecologo nato in Somalia dove il 95-98% delle donne subisce la mutilazione genitale. Prima di venire in Italia, Abdulcadir nel suo Paese d’origine assiste alla infibulazione di sette sorelle. Un’episodio mai dimenticato che influisce sulla sua decisione, dopo la laurea in medicina, di specializzarsi in ginecologia e dedicarsi alla deinfibulazione delle donne mutilate. Il suo lavoro a Firenze porta a un primo riconoscimento nel 2003 quando nasce al Careggi il Centro regionale per la prevenzione e cura delle complicanze dovute alle mutilazioni genitali femminili. A oggi nel centro sono state deinfibulate 230 donne. La storia di Abdulcadir, finito anche nella bufera per la sua proposta di praticare una infibulazione soft, simbolica, dimostra che la mutilazione è una problematica che in Italia fa discutere e diventerà sempre più importante col crescere dei flussi migratori. Ricordiamo oggi le vicende del medico somalo visto che si celebra la Giornata mondiale contro la mutilazione genitale femminile. Un fenomeno globale, ma anche sempre più italiano.
Numeri alla mano, la mutilazione, secondo una stima dell’Unicef, è stata subita da 125 milioni di bambine e donne. Nei prossimi 10 anni altre 30 milioni sono a rischio. Il problema riguarda soprattutto oltre 20 Paesi africani. Ma è presente anche in Europa e in Italia, il cui tessuto sociale, per i fenomeni migratori in aumento, sta cambiando di giorno in giorno. Si calcola che nel Vecchio Continente sono presenti circa 500.000 donne che hanno subito una mutilazione e che ogni anno sono a rischio circa 180.000 bambine. In Italia, secondo alcune stime, 35.000 donne hanno subito questa pratica illegale e le bambine a rischio potrebbero essere più di 7.000.
La mutilazione è un fenomeno in crescita, anche se, come nota Abdulcadir, aumentano le mutilazioni più lievi rispetto a quelle più pesanti. A livello psicologico col passare degli anni la situazione delle donne mutilate in Italia è peggiorata. “Le donne di prima generazione – spiega il medico – erano orgogliose della mutilazione come segno di appartenenza alla propria cultura e, in alcuni casi, riuscivano a vivere una sessualità felice. Quelle di seconda generazione, invece, sono schiacciate tra due culture diverse, quella di provenienza e quella italiana”.
Il problema, dunque, va affrontato in Italia con tutti gli strumenti possibili e, a questo proposito, l’Albero della Vita ha in campo un progetto per il coinvolgimento anche delle aziende. Secondo il responsabile corporate Daniele Maio “occorre far percepire che il fenomeno è un tema attuale che ci riguarderà sempre di più. I flussi migratori di fatto stanno cambiando il nostro tessuto sociale”. Per sensibilizzare le aziende, l’Albero della Vita sta preparando un workshop nella propria sede milanese il 28 febbraio. L’obiettivo è capire che tipo di progetto si può realizzare con ognuna delle imprese interessate. “Noi non chiediamo soldi alle aziende – spiega Maio – ma chiediamo partecipazione alle attività. Chiederemo loro che cosa possiamo realizzare assieme”. In generale le azioni in programma sono duplici: un primo tipo è rivolto all’esterno delle aziende e comprende attività di informazione che vanno dalla distribuzione dei volantini alle campagne pubblicitarie. In questo caso potrebbero essere coinvolte imprese, tipo quelle di telefonia o quelle del settore del credito che hanno anche un pubblico di origine straniera. Un secondo tipo è rivolto all’interno delle aziende e riguarda realtà che hanno una grande quantità di dipendenti provenienti da Paesi che praticano la mutilazione e aventi un livello economico medio-basso, categoria più esposta, per la mancanza di strumenti culturali, al rischio di praticare la mutilazione alle bambine. La promozione del progetto da parte dell’Albero della Vita è iniziata al Salone della Csr e Is in Bocconi il 4 ottobre scorso. I prossimi appuntamenti sono appunto il workshop del 28 febbraio e il Salone in Bocconi nell’ottobre prossimo quando si proverà a tirare le somme sull’andamento del progetto e si condivideranno gli obiettivi comuni. “Nell’occasione del 4 ottobre scorso – spiega Maio – c’è stata una timida risposta positiva da parte delle aziende. Saremmo contenti se riuscissimo a coinvolgere una decina di aziende entro il prossimo appuntamento in Bocconi a ottobre del 2017”.
Il coinvolgimento del settore privato è uno degli aspetti del progetto Chat-Changing attitude sostenuto dal fondo Diritti, uguaglianza e cittadinanza dell’Unione europea di cui l’Albero della vita è coordinatore. Oltre alla partecipazione delle aziende, si punta, spiega Alessandra Giannelli dell’Ufficio progetti e ricerche dell’Albero della vita, ad avere agenti di cambiamento nelle stesse comunità a rischio e a realizzare attività in Europa che abbiamo effetti benefici anche nei Paesi di origine “Occorre far capire – chiosa Maio – che quello della mutilazione è un tema attuale che ci riguarderà sempre più”.