Circular economy: in arrivo in Italia 500mila posti di lavoro

circular500mila posti di lavoro. Non poco in questo momento in Italia. Ma come potrebbero essere creati da un’economia che stenta a ripartire? E’ di pochi giorni fa la notizia che l’Enea – Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile – ha presentato un piano di azione per supportare la transizione del sistema industriale italiano verso l’economia circolare. E’ una buona notizia, perché significa credere e investire in un nuovo modello di crescita sostenibile, competitivo e che crea occupazione. Solo in Italia si calcola la possibilità di creare oltre 500 mila nuovi posti di lavoro.

Nella pratica, comporta il passaggio da un modello di produzione e consumo lineare, detto “take-make-dispose”, a un sistema rigenerativo basato sulla progettazione ecologica dei materiali in tutti i suoi processi, così da superare il concetto di fine vita dei prodotti e abbracciare quello di ricostruzione, attraverso lo smontaggio e il riutilizzo. Con ingenti risparmi e riduzioni di emissioni di gas serra. La Ue ha definito l’economia circolare come il modello di sviluppo preferibile del XXI secolo, tanto da varare nel dicembre 2015 un pacchetto di misure, nell’ambito del programma Horizon 2020, chiamato “Industria 2020 ed economia circolare”, a cui si aggiungono le risorse dei Fondi strutturali e del Fondo per gli investimenti strategici.

Ma, le imprese, come spesso accade, si muovono prima dei legislatori. Ecco tre casi italiani virtuosi di economia circolare.

Gruppo Sant’Anna Fonti di Vinadio

Il Gruppo Sant’Anna Fonti di Vinadio, azienda familiare di Cuneo, nata negli anni Cinquanta nell’ambito dell’edilizia, nel 1995 ha deciso di diversificare e di investire nelle acque con particolari qualità organolettriche delle fonti che sgorgano nelle valli di Vinadio (Alpi marittime). Oggi il gruppo è diventato leader nazionale del settore acque minerali ed è terzo produttore del settore beverage. Ma soprattutto l’ha fatto credendo fortemente nella possibilità di applicare l’ecosostenibile ai prodotti mass market. E la Sant’Anna Bio Bottle, appena lanciata sul mercato, ne è il risultato. Si tratta di una rivoluzionaria bottiglia di origine vegetale, ricavata dalla fermentazione degli zuccheri naturalmente presenti nelle piante. Si può smaltire con i rifiuti umidi e in compostaggio si decompone in meno di 80 giorni senza lasciare traccia nell’ambiente. Si tratta della prima al mondo rivolta al mass market nel comparto delle acque minerali. Inoltre, l’azienda ha brevettato il primo imballo che tiene insieme le bottiglie invisibile che punta all’impatto zero. Next step, la realizzazione di un tappo in plastica vegetale per la Bio Bottle Sant’Anna.

Ne parla qui, il presidente e ad del gruppo, Alberto Bertone, nella rubrica Circular economy.

Gruppo Feralpi

Produrre in modo circolare è possibile anche in settori pesanti come quello siderurgico. Ne è un esempio lampante il Gruppo Feralpi, azienda italiana, nata nel 1968 in provincia di Brescia e cresciuta sino a diventare uno dei principali produttori siderurgici in Europa specializzato negli acciai per l’edilizia, ma attivo anche in altri settori. Da sempre, il Gruppo produce nel modo più sostenibile possibile, abbattendo i consumi e le emissioni utilizzando le migliori tecnologie disponibili, oppure brevettandone di nuove grazie ad un’intensa attività interna di innovazione e ricerca. Con effetti tangibili anche sulla competitività e la redditività dell’azienda. Dal 2010 lavora per cercare soluzioni circolari relative alle diverse fasi del processo produttivo. Uno degli esempi più interessanti è la valorizzazione della scoria nera, passata da storico residuo inerte, generato durante il processo di fusione del materiale ferroso nel forno elettrico, a sottoprodotto commerciale, denominato “Green Stone”, adatto a diversi usi specifici, come ad esempio in opere di ingegneria civile e nella costruzione di fondi stradali. Un altro esempio è quello dei mattoni refrattari che ricoprono i grandi contenitori in cui viene depositato l’acciaio liquido, che dopo 60-70 colate diventavano rifiuti. Oggi l’azienda li frantuma e li utilizza al posto della calce nel forno fusorio, risparmiando sia sull’acquisto di calce sia sulle spese per lo smaltimento dei rifiuti.

Ne parla qui il direttore del gruppo, Maurizio Fusato, nella rubrica Circular economy.

Carlsberg Italia

Tra i protagonisti più importanti della circular economy in Italia, spicca senz’altro Carlsberg Italia, che pur facendo parte del grande gruppo danese, quarto produttore di birra al mondo, mantiene tutta la storia e il know how del birrificio Poretti fondato nel 1876 da Angelo Poretti a Induno Olona, in provincia di Varese, dove risiede tuttora lo stabilimento. La filosofia del gruppo è coniugare la sostenibilità e l’innovazione nei prodotti e nei processi, perché solo così si possono migliorare le performance ambientali, sociali ed economiche creando reale valore condiviso. L’esempio concreto che risponde meglio a questo approccio è DraughtMaster™, il sistema di spillatura senza CO2 aggiunta che ha rivoluzionato il mondo della spillatura coniugando qualità e freschezza della birra con la sostenibilità ambientale. Un’innovazione che ha portato Carlsberg Italia ad applicare, grazie alla collaborazione con IEFE Bocconi (Istituto di Economia e Politica dell’Energia e dell’Ambiente), la metodologia standardizzata LCA – Life Cycle Assessement alla produzione della birra. I risultati sorprendenti di questa tecnologia sono stati registrati e analizzati a partire dal 2011 – anno della sua creazione – e quest’anno sono stati indicati nel bilancio di sostenibilità ResponsiBEERity.

Ne parla qui l’amministratore delegato di Carlsberg Italia, Alberto Frausin. nella rubrica Circular economy.


Poi ci sono casi molto più marginali, che nel piccolo riproducono un’economia fatta di riuso anche nel sociale. Come quello di cui avevamo parlato qui.