Elezioni Usa: Hillary Clinton non sarà la quindicesima donna più potente del mondo

Avrebbe potuto essere la prima Commander in Chief (Comandante in Capo) della potenza militare che – coi droni e i boots on the sand – da sempre condiziona i destini del mondo. La prima ad avere, a portata di mano, i codici nucleari. Hillary Clinton sarebbe stata  la prima donna presidente degli Stati Uniti. Sullo “scranno” che fu di George Washington e in un Paese in cui fino agli anni ’60 vigeva la segregazione razziale. Un tabù definitivamente archiviato da Barack Obama. Ma il “tetto di cristallo” della Casa Bianca non è stato sfondato e Hillary Rodham Clinton non sarà la più potente capofila di una “pattuglia” di donne presidenti che si contano sulle dita di tre mani. Gli Stati Uniti, con il voto, hanno dichiarato che non sono pronti a un cambiamento tanto radicale: Obama è stato il primo presidente di colore, ma era pur sempre un uomo. E gli uomini hanno fatto la differenza a favore di Trump per circa 9 punti percentuali di differenza.

Tornando alla situazione mondiale, oggi le donne Capo di Stato sono appena 14. Potremmo dire, un club molto esclusivo. All’addio traumatico della brasiliana Dilma Rousseff (accusata di aver truccato i bilanci dello stato) ha fatto da contrappunto l’elezione, un mese fa, della presidente della Lettonia, Kersti Kaljulaid. E potrebbero scendere a 14 se la collega sud coreana, Park Geun-hye, accusata di aver dato troppo potere alla sua “maga” di fiducia, non reggerà l’onda del discredito popolare.

La prima donna a servire come presidente invece è stata Isabel Perón, che succedette al marito Juan – prima era vicepresidente – dopo la sua morte, il 1 luglio 1974. Tuttavia, la prima donna a essere eletta presidente fu l’islandese Vigdís Finnbogadóttir, che ricoprì il doppio ruolo di presidente e di primo ministro dell’Islanda dal 1980 al 1996. Battuta, da primo premier al femminile, solo da Margareth Thatcher, che entrò in carica, qualche mese prima, nel maggio 1979 e lasciò Downing Street nel 1990.

Eppure, la prima donna a essere stata primo ministro, nella storia, non è occidentale. Fu Sirimavo Bandaranaike, a capo del governo dello Sri Lanka per tre volte (1960-1965, 1970-1977 e 1994-2000). Oggi le premier sono 6: oltre alla cancelliera Angela Merkel, anche Sheikh Hasina (Bangladesh), Erna Solberg (Norvegia), Saara Kuugongelwa (Namibia), Beata Szydło (Polonia) e la britannica Theresa May. Si arriva a 7 se si aggiunge anche, con il ruolo di State Counsellor, il premio Nobel per la pace di Myanmar, Aung San Suu Kyi.

Negli ultimi 50 anni , ricorda il report sul Gender gap del World Economic Forum, solo 59 Paesi (su oltre 190) hanno visto una donna presidente o primo ministro. E più di tre quarti di quelle che hanno conquistato la carica, lo hanno fatto negli ultimi venti.

E l’Italia? La settimana scorsa ha dato addio alla sua prima donna ministro della Repubblica, Tina Anselmi. Senza aver mai dato né a lei né a tante altre una vera opportunità, né di giocarsi Palazzo Chigi, né il Quirinale.

Per una svolta epocale, negli Stati Uniti come in Italia, è nhecessario ancora del tempo-