“Sono inutili: le nozioni ingurgitate attraverso lo studio domestico per essere rigettate a comando (interrogazioni, verifiche…) hanno durata brevissima: non “insegnano”, non lasciano il “segno”; dopo pochi mesi restano solo labili tracce della faticosa applicazione”. Recita così la prima motivazione della petizione su Change.org contro i compiti a casa. Una motivazione, che francamente mi sembra un po’ debole, soprattutto messa per prima e facilmente smontabile. Eppure i firmatari superano i 17mila e questo mi fa fermare a valutare l’ipotesi che il movimento anti-compiti abbia qualche sua ragion d’essere.
Poi incontro la notizia della richiesta firmata da 90 mamme varesine per un nuovo modello di scuola che si rifaccia all’esempio Finlandese: otto ore di cui la metà all’aperto, non banchi ma tavoli da lavoro, parola d’ordine cooperazione e soprattutto niente compiti. Magari hanno ragione loro. Magari i finlandesi sono più preparati e più felici. E la mia solida convinzione che i compiti non si debbano toccare vacilla.
Nella ricerca di una risposta alle mie domande, mi imbatto nel post di Mattia Feltri. Devo ammettere di aver riso molto (e ve ne consiglio la lettura in questo autunno uggioso) e di essere stata vicina a capitolare di fronte al compito della figlia Benedetta: «Nella seguente rappresentazione, ai numeri naturali 5, 4, 7, 9, 12, 2, 8, 1, 10, 0 associa i punti che sono le loro immagini». Sconsolata, mi dico che forse hanno ragione loro: dieci-dodici ore di studio al giorno, poveri ragazzi. E che diamine, avranno anche diritto a vivere, giocare, correre, inventare. Ed ecco fra gli altri un post su Facebook che riporta il titolo:
Giannini: con la riforma caleranno i compiti per casa
Come dire: meno compiti per tutti. Ma forse ho capito male. Leggo meglio: la ministra dell’Istruzione, Stefania Giannini, accoglie le proteste dei genitori contro i compiti e promette: “Proprio grazie alla Buona Scuola sta partendo un cambiamento culturale nella scuola con modalità innovative e interattive di lavoro in classe e fuori dalla classe. Il carico di compiti va ovviamente dosato a seconda dell’età degli alunni ma proprio con le nuove modalità previste dalla 107 sia i ragazzi che i docenti saranno maggiormente responsabilizzati”. Che cosa possa voler dire, però, non si comprende. Mi stupisce, comunque, che la ministra risponda alle proteste dei genitori che hanno affollato i social media nell’ultimo periodo. Bastano un paio di foto a giustificazioni di compiti non fatti, per far intervenire la ministra? Qui qualcosa non mi quadra. Parlo con altri genitori (in carne ed ossa, non via social) e con qualche insegnante (anche in pensione). E così scopro che il mondo non si sta completamente rivoltando contro i compiti a casa, che c’è chi li sostiene, li fa eseguire puntualmente e li dà senza remore.
Mi sento sollevata e sento che anche la mia opinione ha ancora cittadinanza in Italia. I compiti, a casa nostra, si fanno. Non esistono giustificazioni. E soprattutto si studia, anche se il livello è ancora quello delle primarie. Perché ci sono abilità che si esercitano solo con i compiti a casa, come l’autonomia, il senso di responsabilità, la capacità di comprendere e rielaborare un testo, il metodo di apprendimento (che naturalmente non è “a memoria”). Un bagaglio prezioso per la scuola secondaria e poi più avanti per le superiori e l’università. Ma anche per la vita. Qui non si parla di nozioni, che sappiamo tutti come abbiamo dimenticato la consecutio temporum e il teorema di Lagrange. C’è in gioco ben altro. Non si tratta solo di allenare la mente, ma di crescere gli adulti di domani.
A casa mia niente giustificazioni per compiti non fatti, ma un’asse genitori-insegnanti. Perché stiamo tutti dalla stessa parte: dalla parte del bene per i nostri ragazzi. Per questo a inizio anno firmiamo un patto scuola-famiglia. E se c’è un patto, nel caso di compiti eccessivi o fuori luogo si ha un dialogo aperto per il confronto e per trovare la soluzione migliore per i nostri ragazzi. Che non è certo quella dei proclami su Facebook. Che, lasciatemelo dire, per i nostri figli lasciano un po’ il tempo che trovano. Anche se sotto raccogliamo migliaia di “Mi piace”.