Si potrebbe raccontare Daniela Ducato attraverso i premi internazionali che ha vinto (tra i tanti, miglior innovatrice d’Europa nell’edilizia verde). O con le opportunità di lavoro create in un’area con uno dei tassi di disoccupazione più alta d’Italia. O con la menzione del World Economic Forum che ha collocato la sua Edizero nella top ten delle eccellenze tecnologiche mondiali. Si potrebbe chiamare Daniela Ducato imprenditrice. O innovatrice. Sarebbe tutto vero, eppure ci porterebbe fuori strada.
Perché niente di questo lascia immaginare che lei è un’insegnante di musica. Che il dolore è stata la sorgente di questa idea di impresa. E che nulla sarebbe stato senza s’aggiudu torrau. Daniela Ducato, classe 1960, mamma di due figli che oggi hanno 18 e 22 anni, vive e lavora a Guspini, nel Sud Ovest della Sardegna. Ha avuto l’intuizione di recuperare gli scarti della lavorazione di lana, vinacce, latte, miele, formaggi, olio d’oliva, potature e posidonia per ottenere prodotti isolanti, pitture e intonaci ecologici che vengono utilizzati per una bioedilizia carbon free, il risparmio energetico, le bonifiche e il disinquinamento ambientale, tutti prodotti dalla filiera made in Italy di Edizero. I fornitori di scarti sono piccole e medie aziende, i clienti ovunque.
Come ha fatto? “Ho sempre avuto a cuore Guspini e il suo territorio. Alla fine degli anni ’90 mi sono fatta promotrice di una Banca del tempo, una delle prime in Italia, una libera associazione tra persone che si auto-organizzano e si scambiano tempo e competenze. La traduzione moderna del tradizionale s’aggiudu torrau, l’aiuto ricambiato o buon vicinato. Insieme avevamo realizzato una iniziativa che aveva ricevuto anche un riconoscimento ministeriale per il progetto Le città invisibili, recuperando a giardini aree urbane dismesse o dove si spacciava droga”.
Ma qualcosa non andò per il verso giusto. “Arrivò un finanziamento pubblico molto importante incompatibile con questi giardini tematici e, per usufruirne, il Comune decise di rimuovere anche tutti gli arredi che erano stati realizzati. Il 21 marzo 2004 arrivarono le ruspe. Caddero gli alberi e caddero i nidi. Fu un dolore inspiegabile, rimasi come immobilizzata per tanto tempo. Poi, piano piano, affiorarono nella mia mente alcuni ricordi. Gli anziani che utilizzavano le bucce di pomodoro come antiruggine, l’utilizzo degli scarti di lana per proteggere le piante…quei due nidi caduti che una bambina mi aveva messo sulle orecchie perché io quel giorno soffrivo troppo per guardarli”.
Prevalse il desiderio di trasformare il dolore in qualcosa di utile e portatore dei saperi della comunità. “Ripresi in mano un nido, lo guardai con gli stessi occhi dei bambini: era una architettura perfetta realizzata con materiali di scarto. Parlai di quella intuizione con mio marito, titolare di una impresa distributrice di prodotti per l’edilizia. Ma le idee da sole non bastano, e io ho avuto la fortuna di collaborare da subito all’interno di un grande team, perché Edizero è un’espressione corale. Il passo successivo fu creare la sinergia con una azienda tessile sarda di veri maestri del settore. Iniziammo a fare ricerca con i migliori laboratori per tradurre gli esiti della sperimentazione in tecnologie di produzione industriale: i nostri prodotti per essere competitivi dovevano avere una resa altissima. Nel 2008 entrammo sul mercato e vincemmo l’importante premio Innovazione Amica dell’Ambiente di Legambiente”. E questo fu l’inizio.