Non sarà un caso che molte grandi aziende puntino sul cosiddetto ‘team building’, che sul posto di lavoro qualche amministratore delegato abbia probabilmente detto: “Ora è il momento di fare gioco di squadra”. Non si tratta di parole e frasi fatte, dietro fa capolino un concetto importante, una filosofia che ha le sue radici nello sport.
Quando qualche anno fa mi è stato chiesto di collaborare con il gruppo sportivo oratoriano e allenare le bimbe di prima e seconda scuola primaria. Ho accettato pensando non sarebbe stato così complicato. Cosa sarà mai far giocare a pallavolo, insegnare rudimenti del volley a bimbette vivaci? Probabilmente lo scoglio maggiore sarebbe stato lanciare qualche urlo per zittire le più impertinenti: nulla di impossibile per una madre di gemelle.
In verità quella che ho imparato in questi anni grazie a loro e grazie a corsi ad hoc per completare la mia professionalità di volontaria allenatrice, è una vera filosofia.
Perché mai una bimba dovrebbe desiderare di entrare in una squadra piuttosto che darsi alla danza o al tennis? Perché quello che viene offerto è un percorso formativo diverso. Attenzione non dico migliore, dico diverso. Tutti gli sport sono formativi. Ognuno per un aspetto diverso.
Le piccole bambine ‘impertinenti” che mi trovo ogni inizio anno tra le mani arrivano con le loro personalità, con tanta voglia di giocare e spesso piene di ambizione , già capaci di fare una schiacciata e murare l’avversaria. Partono dal fondo, si credono già piccole campionesse che farebbero un baffo a Mila. Piano piano dopo aver saltato per fare la famosa schiacciata toccano con i piedi per terra e capiscono che prima bisogna imparare altri fondamentali, che per “schiacciare” una compagna di squadra deve aver bene alzato e prima ancora un’altra temeraria amica deve essere stata in grado di ricevere la violentissima schiacciata dell’altra seienne al di là delle rete. Insomma dopo un primo periodo di sguardi cagneschi , le bimbe imparano che intorno hanno amiche, compagne di squadra, ognuna ha un ruolo, ognuna è fondamentale.
Ogni bimba della squadra dà il suo supporto e proprio perché è una catena di ruoli, se qualcuna sbaglia, la responsabilità si condivide. Quanto è positivo per la piccola sportiva in erba, magari un pò più timida delle grintosa Mila, non sentirsi in colpa perché ha sbagliato, ma poter un po’ condividere l”errore con le piccole nuove amichette. Pensate a quel cinque che si scambiano i giocatori in campo, sia quando il punto è arrivato sia quando ahi loro se n’è andato! Ecco proprio quella è una delle prime lezione che impartiamo alle piccole egocentriche: “aiuta la tua compagna, dille che la prossima volta ce la farà “.
Nel gioco di squadra il primo tifo arriva dalle compagne dì squadra.
La bimbetta che arriva e si inserisce in una squadra capisce che non c’ è solo lei, che deve rispettare dei tempi e delle regole, che qualsiasi successo avrà non sarà solo merito suo, che qualsiasi errore commetterà non sarà solo responsabilità sua, che ci saranno amiche intorno che la sosterranno…una micro comunità, dove imparare a trovare il SUO posto.
La bimba avrà l’opportunità di trasformarsi con il tempo da piccola egocentrica concentrata su di sè, a giovane atleta con una buona autostima, consapevole di essere parte fondamentale di un gruppo, capace di ascoltare e ascoltarsi. D’altro canto la sua compagna più timida invece non dovrà raggiungere degli obiettivi in completa solitudine ma grazie al contributo di altre. Quante di queste qualità le saranno utili nella vita e nel lavoro? Tante, ecco perché questa è la filosofia per cui tifare!