“Mamma, che nome mi avresti dato se fossi nata dalla tua pancia?, mi ha chiesto mia figlia a bruciapelo mentre stavo guidando l’altro giorno. Perché, si sa, le domande dei bambini, quelle con la D maiuscola, arrivano sempre nei momenti più impensati: mentre facciamo la spesa al supermercato, mentre siamo in coda in posta, sui mezzi pubblici…
Con mia grande sorpresa, ci ho messo un attimo a rispondere. Oddio, quali erano i nomi che ci piacevano, che avevamo scelto tra tanti per il bambino che pensavamo avremmo concepito?
Sono andata a ripescarli nei cassetti più remoti della mia memoria. Mi sono suonati così lontani, così estranei, quasi riguardassero la vita di qualcun altro. E, in effetti, in un certo senso riguardano qualcun altro, una famiglia esistita solo nella nostra mente di coppia. Una famiglia solo immaginata, che poco o nulla ha a che fare con la nostra realtà quotidiana.
“A me e papà piaceva tanto il nome Lene.”
“Lene??! Ah, Ah!!” È scoppiata in una fragorosa risata, aggiungendo poi secca, rivolta alla sorella minore che ascoltava in silenzio con grande interesse: “Questo nome te lo beccavi tu!”. Poi, ritrovata finalmente la memoria, ho aggiunto: “Un altro nome che ci piaceva molto era Lara”. Al che ha esclamato soddisfatta: “Bello, questo sarebbe stato mio!”. Ci siamo fatte poi insieme delle sonore risate sui nomi maschili che piacevano a mio marito, amante dei nomi d’altri tempi. “Meno male che siamo femmine!”, ha esclamato mia figlia a un certo punto dopo aver sentito i primi due o tre nomi che neanche riusciva a pronunciare.
A rileggerlo sembra un dialogo davvero degno di una sceneggiatura del teatro dell’assurdo, perché mia figlia, di origine etiope, così come è, non sarebbe mai potuta nascere dalla mia pancia e se fosse nata dalla mia pancia non sarebbe lei! È grande e ne è perfettamente consapevole a livello razionale.
Ma questo dialogo è esplicativo perché nasconde in realtà una profonda dichiarazione di appartenenza, molto più significativa di tutte le riflessioni che potremmo fare sull’adozione e sulla formazione dei legami familiari, perché in un attimo annulla ogni differenza. Un’appartenenza e un’identificazione che sono nate “grazie” e non “nonostante” la diversità.
Mi rendo conto che è una percezione totalmente irrazionale, puramente emotiva e difficile da spiegare, ma io stessa tante volte mi sono sorpresa a pensare che le nostre figlie non avrebbero potuto essere che così come sono. Parlo del loro modo di essere, di fare, di pensare, di gesticolare, di parlare, e anche dell’aspetto fisico. Segno di una familiarità conquistata faticosamente giorno dopo giorno e che supera la genetica e i cosiddetti “legami di sangue”.