…e questo sport è il rugby: “L’unico sport di contatto in cui vigono le stesse regole sia per uomini che per donne: stesso regolamento, stesse dimensioni del campo, stesso equipaggiamento e uguale voglia di divertirsi. Questo permette di superare gli stereotipi tradizionali legati al femminile: timidezza, passività, sottomissione e grazia. Il rugby permette di assumere una presenza assertiva e sicura, senza paura nel raggiungimento dell’obiettivo. Il rugby è uno sport di empowerment: permette e guida le donne ad impiegare il proprio corpo al di fuori dagli schemi degli stereotipi di genere”.
Da Trento parte “ImMISCHIAmoci”, un progetto – finanziato dall’assessorato provinciale per le Pari Opportunità tra Uomo e Donna – che punta ad abbattere luoghi comuni come l’odioso “tiri quel pallone come un gay”, citato nella locandina. “Rispetto ai messaggi mediatici che accompagnano le ragazzine nella crescita, e impongono irraggiungibili standard di bellezza e magrezza, il rugby non propone un modello fisico ideale. I diversi ruoli previsti in campo prevedono per ogni fisico la possibilità di dare il meglio per la squadra. Ogni forma del corpo è celebrata ed esaltata nei diversi ruoli”, spiega Chiara Paoli, giocatrice dall’ASD Rugby Trento femminile e presidente dell’Associazione Culturale Te@.
I numeri delle giocatrici sono in crescita: in Italia – secondo i dati della F.I.R. – le squadre femminili iscritte alla Coppa Italia Seven sono cresciute, negli ultimi cinque anni, in maniera costante dalle 18 del 2010 alle 103 del 2015. In campo contano le competenze fondamentali per la crescita personale: capacità di lavorare in gruppo, leadership, spirito di sacrificio, coordinazione, un nuovo modo di rapportarsi con il proprio corpo e quello degli (e delle) altri (e altre). Il rugby a sette femminile sarà una delle discipline incluse delle Olimpiadi del 2016.
Oggi il rugby rosa è giocato da 1.770.000 ragazze nel mondo ed è lo sport femminile con la maggiore crescita: solo lo scorso anno ci sono state 270.000 tesserate in più. Eppure resta uno sport minore, la cui visibilità è limitata, forse anche giudicata, con difficoltà di coinvolgimento, in particolare nelle fasce minori di età. Le bambine fino ai 14 anni si allenano con i coetanei, ma dai 14 ai 18 anni c’è una netta scarsità di partecipazione femminile.
Che fare? La squadra trentina ha le idee chiare: aumentare la partecipazione giovanile, dare visibilità alla squadra di rugby femminile, aumentare la percezione positiva della corporeità femminile, libera da dinamiche di normatività ed oggettificazione, creare dibattito e confronto sui temi legati alla formazione degli stereotipi di genere all’interno delle società sportive e della stessa comunità. In prima fila gli allenatori Fabio Terazzi e Mauro Tollardo, che hanno creduto fin dall’inizio in quest’avventura.
Un lavoro rivolto a tutti: ci sono stati e ci saranno incontri nelle scuole fin dalle medie, con un video di promozione della squadra che va oltre i luoghi comuni. Con dirigenti e allenatori, educatori e tecnici delle associazioni sportive si è trattato di linguaggio inclusivo per mascolinità e femminilità. Per dare voce allo sport si è tenuto anche un flash mob con protagoniste le atlete trentine. Gran finale, il prossimo novembre, con il convegno su stereotipi di genere nello sport: obiettivo, disseminare i risultati del progetto, e contribuire al confronto sul tema degli stereotipi di genere nell’ambito sportivo. Ci sarà anche la coordinatrice italiana del rugby femminile, Maria Cristina Tonna. Inoltre, verranno invitate sportive di rilievo provinciale e nazionale, per parlare di strategie di parità in ambito rugbistico e sportivo in generale, e delle prospettive di sviluppo dello sport femminile