Roberta Marracino (Sace): le nazioni leader hanno abdicato al loro ruolo, ecco i rischi che dovremo affrontare

MIlano, Roberta Marracino

Roberta Marracino

“Il mondo che ci attende sarà segnato da una crescente incertezza e volatilità, il che rende molto difficile fare previsioni su tempi medio-lunghi. Per il 2016 vediamo tre principali rischi per l’economia mondiale: i bassi prezzi delle materie prime, fonte di insidie per le economie poco diversificate e incapaci di fronteggiare un calo così brusco e duraturo; la posizione debitoria di diversi mercati emergenti e il crescente ruolo del terrorismo internazionale come fonte di instabilità geo-politica”.  Roberta Marracino, direttore divisione ricarca, comunicazione, relazioni istituzionali e csr di Sace, ha un osservatorio privilegiato su quali possono essere i rischi che in economia dovranno affrontare le aziende italiane che si affacciano sui mercati internazionali. Pragmatica, schietta e diretta Marracino è stata precedentamente direttore della ricerca e della comunicazione in McKinsey per l’area del Mediterraneo.
Come valutate l’evolversi dei problemi geopolitici che affliggono in particolare alcune aree?
Oggi il 70% degli executive pensa che l’instabilità politica sia il rischio più rilevante per i prossimi anni. Noi ne sentiamo più che in passato la vicinanza, dal momento che molte situazioni problematiche si concentrano nel Mediterraneo e in Medio Oriente. Iraq, Siria, Libia, Arabia Saudita, Turchia, Egitto, Nigeria, Sudan e Kenya contano in tutto oltre 750 milioni di abitanti, non proprio un dettaglio. Con le nazioni leader che hanno abdicato al loro ruolo, in un mondo sempre più globale e interconnesso pensare che l’instabilità di questi paesi non si ripercuota anche sulle economie avanzate è onestamente illogico.
60 milioni di persone, corrispondenti alla popolazione del 24° paese più popoloso al mondo, sono state costrette ad emigrare. Si tratta del più elevato numero di persone nella storia. Come cambierà questo il nostro futuro?
Il nostro futuro è già cambiato. Le migrazioni sono fenomeni ricorrenti nella storia, e sebbene spesso non se ne serbi memoria, producono impatti non lievi sulle società e sulle loro strutture sociali. Non basta il cuore per gestire fenomeni di questa portata: servono leadership, vigore dell’economia, capacità di assorbimento di forza lavoro non qualificata, rispetto di principi, regole e comportamenti alla base di una civiltà democratica. E serve capire quali interessi economici – legali e non – muove tutto questo. Scardinarli richiede una presa di posizione molto decisa.
Gli economisti appaiono sempre più in difficoltà nel diagnosticare le malattie e prescrivere le cure di un sistema economico in difficoltà. Perché?
La verità è che le teorie e i modelli interpretativi utilizzati tradizionalmente non si applicano più alla realtà di oggi. La concorrenza non è perfetta, il consumatore/investitore non è razionale, i bisogni si creano, i prezzi incorporano un margine sempre più legato ai cosiddetti intangibles. E soprattutto la finanza, una volta al servizio dell’economia, appare sempre più a servizio di sé stessa. Il rapporto tra le due si è invertito, i capitali si spostano rapidamente da un paese all’altro e da un asset all’altro alla ricerca del miglior rendimento, forgiando il destino di paesi, settori e persone.
Le aziende italiane come fanno fronte a certe incertezze?
Molte aziende, soprattutto di piccole dimensioni, rimangono spiazzate. Le più accorte e le più grandi si dotano di strumenti di analisi e gestione dei rischi meglio tarati, utilizzano prodotti assicurativi a tutela dei propri crediti, garantiscono le proprie commesse all’estero, si coprono dai rischi politici e si riposizionano con flessibilità su destinazioni con un rapporto rischio-opportunità accettabile. Pensiamo ad esempio all’Iran, un mercato che potrà garantire almeno 3 miliardi di export in più in tre anni.
Di che riforme necessitiamo in Italia?
Al di là di quanto ci diciamo da anni – giustizia, burocrazia, infrastrutture tecnologiche, fiscalità, etc. – io credo che la principale “riforma” di cui abbiamo bisogno sia culturale: gli anni del benessere sono alle spalle, non ci sono più pasti gratis per nessuno, e fuori il mondo corre… Metaforicamente parlando, tutti sono in tenuta sportiva e noi ancora seduti sul divano. Vogliamo recuperare lo spirito che ha fatto grande questo Paese qualche decennio fa?
Cosa invece dovremmo valorizzare di più?
Esco dal pensiero comune e dico: le nostre capacità tecniche, la nostra meccanica strumentale, il Made in Italy che non si conosce, le produzioni a valore aggiunto. I nostri ingegneri sono apprezzati in tutto il mondo. Quanti di noi sanno che l’Italia è il terzo esportatore al mondo di macchine utensili e il secondo nel settore dei macchinari per il packaging?
Da quale errore hai imparato di più?
Un paio di volte ho esitato a cogliere le opportunità quando si sono presentare. A volte il background e le paure che ci portiamo dietro hanno la meglio. Ma poi ho recuperato.
Cosa ti commuove?
“A Galatea”, una poesia che mio marito mi ha dedicato quando ero ancora una ragazzina. Era un augurio a vivere la vita con coraggio e fuori dagli schemi.
Cosa ti fa arrabbiare?
La mancanza di valori forti in un mondo che ne avrebbe estremo bisogno.
Quale consiglio daresti a un giovane maschio che vuol fare la tua carriera?
Lo stesso che darei a una giovane donna. Lustra e fai buon uso della cassetta degli attrezzi, ma sappi che determinazione, passione ed energia fanno il 70% del risultato. E della soddisfazione.