L’abisso tra bambini poveri e bambini ricchi: in Europa solo un Paese fa peggio dell’Italia

Ritratto sulla povertà di Thomas Benjamin Kennington (1885)

Ritratto sulla povertà di Thomas Benjamin Kennington (1885)

Sediamo al G7. Siamo tra le prime sette potenze economiche mondiali, e poi cadiamo proprio sui temi dell’infanzia. Va bene essere distanti dalla Danimarca o dalla Finlandia, il welfare scandinavo si sa non ha rivali. Ma fare anche peggio della Romania o della Grecia, questo sì che fa riflettere. Eppure il dato è chiaro: sulla disuguaglianza infantile in Europa siamo penultimi, a salvarci dalla maglia nera è solo la Bulgaria. E la Turchia ci tallona da vicini. Ma cosa si intende esattamente per disuguaglianza infantile?

Si intende la capacità di includere tutti i bambini nella fascia del benessere, ci spiega l’Unicef: fino a che punto i paesi ricchi permettono che i bambini più svantaggiati rimangano indietro rispetto alla media dei bambini di quello stesso paese? E l’Italia, ahimé, non è tra quelli virtuosi. Non (solo) perché non accoglie i piccoli profughi, ma perché non aiuta come dovrebbe gli stessi bambini che nascono sul proprio territorio.

Andiamo con ordine. Prediamo il divario di reddito: i bambini delle famiglie più povere del nostro paese hanno possibilità economiche del 60% più basse di quelle della famiglia media italiana. In Norvegia, per intendersi, la ricchezza dei poveri è più bassa solo del 37% di quella media.

Sul gap culturale andiamo un po’ meglio, in classifica siamo 22esimi su 37. E per una volta siamo più in alto della Germania (28esima) e della Francia (35esima). Quanto a tutela della salute dei più piccoli, invece, i continui tagli alla Sanità pubblica hanno fatto scivolare l’Italia sul fondo della classifica: un terzo di nostri bambini (al pari dei bambini della Romania, della Turchia e della Bulgaria) si ammala molto di più della media nazionale per la mancanza di cure e di prevenzione adeguate.

Tutto questo ha un prezzo anche psicologico: il 28% dei bambini italiani con livelli di soddisfazione nei confronti della vita più bassi finisce anche col restare indietro rispetto ai propri coetanei. A che serve allora far parte del G7 se non sappiamo garantire un futuro a tutti i nostri figli?