Zandegù è una casa editrice atipica e non poteva che dare alle stampe – digitali – un libro che mentre racconta come costruire giocattoli con quello che si trova in casa, in realtà parla di padri separati, “Papà, mi fai un castello?” di Luca Borello. Confesso che la parte di costruzione dei giocattoli mi ha riempito di confusa ammirazione, quanto un libro sulla meccanica quantistica, ma la colpa è mia, l’autore è molto chiaro. Il tema della separazione, invece, è una sorta di sotto testo e su questo mi voglio concentrare, soprattutto perché vi ho ritrovato tre aspetti che sono le vene aperte di quasi tutti i padri separati.
La casa
Qualcuno se ne va ed è sempre il padre, volente o nolente, lascia quella casa che rimpiangerà oppure no, ma che rimarrà casa per suo figlio. Perché la casa nuova è la casa del papà ed è quasi sempre una disfatta annunciata, meno bella, meno grande, meno accogliente. Non un rifugio da single, ma un appartamento che farà finta di essere quello che non è: casa. Solo i mesi, gli anni, potranno migliorare la situazione.
La madre
La madre, soprattutto per un padre separato, può essere enorme e incombente come il sublime cui fa cenno Kant, informe e illimitata, di smisurata potenza, in grado di provocare uno schiacciante senso d’insufficienza, di timore, come un maremoto, un’eruzione vulcanica. Appare come tutto quello che un padre – a maggior ragione, separato – non può ambire d’essere.
Il tempo
Il tempo che non passa mai, quello fra un’incontro e l’altro, e un’altro tempo, quello che passa troppo veloce, quando si è insieme. Il tempo dei padri separati è difficile da raccontare a chi non è separato. Il momento dei saluti “è intriso di pathos davvero esagerato: la rivedrai tra pochi giorni, forse hai davanti una fantastica serata insieme alla tua nuova compagna, al tuo hobby preferito, o all’ozio estremo. Robe che i genitori a tempo pieno darebbero un rene. Non importa“, scrive Borello.
Il libro suggerisce che la costruzione dei giocattoli sia in grado di lenire queste sofferenze, risolverle in attività positive, di conquista di un ruolo. Io non ho metodi da illustrare, sempre andato a braccio, sfortunatamente per me. Ricordo solo due donne e le loro parole all’indomani della mia separazione. La prima, con una saggezza pacata che solo le persone altruiste sanno avere, mi raccomandò di non derogare al mio ruolo di padre, “sia fermo, i bambini hanno bisogno di regole, sono la prima loro casa, e non menta mai, non dimentichi le promesse, la fiducia si costruisce così”. La seconda, cinicamente scanzonata, figlia di genitori separati, mi raccontò con un sorriso furbo che “i regali forse non fanno la felicità, ma ho amato mio padre anche per la sua generosità e per le piccole sorprese che non dimenticava mai di farmi”.
Ringrazio entrambe, soprattutto perché non mi hanno riservato compassionevoli pacche sulle spalle o sguardi di malcelato rimprovero, ma comprensione e simpatia, “perché molti padri separati spesso pagano quasi per intero il prezzo di un fallimento che non è solo loro. E di una colpa che in fondo non è di nessuno“, conclude Borello e io con lui.