La rimozione di un dirigente pubblico non ha mai fatto così rumore. Negli ultimi giorni i social network sono stati inondati di messaggi di solidarietà a favore di Linda Laura Sabbadini (60 anni), che dal 16 aprile non sarà più la direttrice del Dipartimento per le statistiche sociali e ambientali dell’Istat. Ora, le ristrutturazioni delle organizzazioni, siano esse pubbliche o private, sono all’ordine del giorno e al Sole 24 Ore ce ne occupiamo quotidianamente. Se poi sono dettati da necessità di efficienze dei costi, implicano naturalmente una riduzione delle posizioni di dirigenziali, oltre che dell’organico. Quindi cosa c’è di strano? Nel caso Sabbadini, a mio parere, due cose.
Se inizialmente si poteva pensare che le reazioni di sdegno e di protesta fossero di persone a lei vicine professionalmente e personalmente, a distanza di giorni i numeri della mobilitazione e le argomentazioni vietano di liquidare così la faccenda. Anche ammesso che i riconoscimenti italiani siano di second’ordine (è stata dichiarata commendatore della Repubblica da Carlo Azeglio Ciampi), resta il fatto che Sabbadini ha fatto parte della commissione dell’Onu incaricata di stabilire i parametri statistici utili nello studio delle violenze sulle donne e ha guidato più volte la delegazione italiana all’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO), l’agenzia delle Nazioni Unite che si occupa di promuovere il lavoro dignitoso e produttivo in condizioni di libertà, uguaglianza, sicurezza e dignità umana per uomini e donne. Sabbadini ha diretto il Dipartimento delle Statistiche Sociali e Ambientali dell’Istituto Nazionale di Statistica (Istat) ed è attiva a livello internazionale della ricerca scientifica delle statistiche di genere. Statistiche che furono presentate alla Conferenza internazionale sulle donne a Pechino nel 1995 con il merito di portare alla luce realtà italiane non ancora conosciute, comprese le violenze sulle donne. E chi non ha letto almeno un articolo negli ultimi due anni in cui era citato il volume dell’Istat “Come cambia la vita delle donne 2004-2014″. Una bibbia per quanti si occupano di tematiche di genere, e non solo.
Ma se può colpire l’estromissione di una direttrice di valore sacrificata alla causa della riorganizzazione, dovrebbe preoccupare ancora di più che in questa riorganizzazione rischia di sparire il dipartimento che ha diretto. L’accorpamento porterà a due divisioni principali, resta da capire se all’interno di queste sopravviverà lo spazio dedicato alle ricerche condotte finora su donne e “invisibili”. In un Paese in cui non c’è più un ministero delle Pari Opportunità, Sabbadini rappresentava le istituzioni su determinati temi. Ora verrà a mancare anche questo punto di riferimento. Che l’Italia non abbia più bisogno di parlare di questione di genere per averla superata? Tutt’altro. La classifica del World Economic Forum ci ha visto fare un balzo in avanti dovuto sostanzialmente al fattore politico, non a quello del lavoro, dell’educazione e della sanità. Dove c’è ancora molto da fare partendo dal tasso di occupazione femminile fermo attorno al 47%. Allora perché ignorare che il problema esista non dando riferimenti istituzionali che possano portare avanti questi temi?
Personalmente negli ultimi quindici anni ho attinto a piene mani alle ricerche del dipartimento diretto da Sabbadini per gli articoli e i libri che ho scritto. Credo che la sua uscita di scena sia un impoverimento culturale per il Paese. Ma magari il presidente dell’Istat, Giorgio Alleva, ci sorprenderà con iniziative innovative in questa direzione e Sabbadini ricoprirà un ruolo istituzionale di maggior livello nel prossimo futuro.