Inutile nascondersi dietro un dito. Le startup innovative femminili in Italia restano ancora una mosca bianca. Sul totale delle imprese la percentuale è del 13,1%, secondo i dati elaborati da Infocamere. Un numero, 670 su un totale di 5.111, ancora troppo esiguo. D’altra parte l’ambiente italiano non è dei migliori per lo sviluppo di idee da parte delle donne a guardare l’ultima indagine condotta da Global Entrepreneurship and Development Institute (Gedi). Nella classifica dei paesi più accoglienti il Paese è al 30esimo posto con una votazione appena sufficiente (51,4) contro il punteggio di 81,9 degli Stati Uniti, neanche a dirlo primi in classifica.
Alle difficoltà che affrontano tutte le startup in Italia, si sommano i problemi di fare impresa al femminile. «La nostra percezione è che il numero ufficiale risenta di una definiziosa troppo generosa di startup innovativa. In realtà la percentuale di startup al femminile è più vicina al 7-8%» commenta Diana Saraceni, fondatrice e managing partner di e prima ancora di 360° Capital Partners, venture capital che investono in startup europee. Nel caso di Panakes il target è rappresentato da società del comparto biomedicale. «Numericamente, ma non qualitativamente, la parte del leone nelle startup la fa il digitale, che è tradizionalmente maschile. Nel settore medicale, invece, è decisamente maggiore la presenza di donne» spiega Saraceni, aggiungendo: «A questo si somma il fatto che il mondo degli investitori istituzionale è ancora molto maschile e non è semplice per una donna acquistare credibilità. In fondo l’investimento in startup è un atto di fede, fiducia nel progetto».
Naturalmente la gran parte delle nuove società si posizionano nella parte nbassa della classifica per valore della produzione. Il 19% ha ricavi sotto i 100mila euro, una su quattro ha un fatturato tra 100 e 300mila euro e il 3,7% tra i 500mila e un milione. Oltre questa cifra ce n’è solo una fra uno e due milioni e una oltre i 2 milioni. Poche e piccole, dunque, con la necessità di trovare i fondi per poter decollare e poi crescere. Perché se nel settore il crowdfunding iniziale sembra ora un problema meno insormontabile, diventa più complicato accedere a fondi per lo sviluppo. In questa direzione va anche l’iniziativa del Ministero dello Sviluppo Economico pronto a mettere a disposizione fino a 1,5 milioni per progetto, o una cifra pari al 75% dell’investimento. A questo scopo sono stati stanziati 50 milioni e le richieste sono raccolte da Invitalia.
Nel settore le donne oltre ad essere startupper e partner di fondi di venture capital, sono anche protagoniste fra i business angel, i primi finanziatori delle idee. «Per investire in una startup al femminile cerco le stesse caratteristiche che cerco in quelle degli uomini: visione, determinazione e capacità di execution» commenta Paola Bonomo, socia di Italian Angels for Growth, che ha puntato sulla startup Drexcode fondata da Valeria Cambrea e Federica Storace.I diversi ambiti sono presidiati, quindi, anche da professionalità di qualità. Ora manca una spinta alla crescita nel numero.