Gli uomini americani con un’infanzia segnata dalla povertà, una volta adulti, è molto più probabile che restino marginalizzati sul mercato del lavoro rispetto alle donne cresciute nelle medesime circostanze. Potrebbe sembrare paradossale, considerando che le donne anche negli Stati Uniti rimangono vittima di discriminazioni nelle assunzioni e nei compensi, ma questo “gender gap” alla rovescia è stato dimostrato da una ricerca condotta da un gruppo di ricercatori delle università di Harvard e Stanford per conto del National Bureau of Economic Research.
“I bambini di famiglie a basso reddito che crescono in aree con forte povertà e concentrazione di minoranze finiscono per lavorare molto meno delle bambine”, evidenziano gli autori. E concludono: “Gli svantaggi nell’infanzia sembrano particolarmente dannosi per i bambini”. Uno dei ricercatori, Jeremy Majerovitz, parlando alla rivista Quartz ha aggiunto che “in particolare i tassi di occupazione degli uomini sono molto più sensibili a molteplici aspetti dell’ambiente nel quale sono cresciuti”.
L’analisi di dieci milioni di dichiarazioni dei redditi di americani nati negli anni Ottanta ha fatto emergere che tra chi è’ cresciuto nel 20% piu’ povero delle famiglie, una volta arrivati alla soglia dei trent’anni, sono molti di più gli uomini che le donne a essere disoccupati. Non solo: l’effetto negativo sull’impiego di famiglie con un solo genitore è a sua volta più marcato fra gli uomini rispetto alle donne.
Le spiegazioni del fenomeno restano incerte, con alcuni elementi che però saltano all’occhio: tra questi la probabilità che, in quartieri poveri, sia elevata anche la criminalità e che i bambini più delle bambine siano spinti a sostituire impieghi normali con attività illegali. Ma quel che è sicuro è che le conclusioni dello studio aiutano a spiegare un fenomeno socio-economico significativo: il calo che dai primi anni Settanta si registra nel tasso di partecipazione alla forza lavoro degli uomini, assai più pronunciato rispetto a quello delle donne.