Hillary Clinton ha un problema declinato tutto al femminile. La sua campagna presidenziale, che sulla carta proprio nelle donne avrebbe dovuto trovare un punto di forza, oggi precipita nei consensi soprattutto tra le più giovani. È stata battuta, sonoramente, da un candidato all’apparenza improbabile nei primi scontri delle primarie: il senatore 74enne Bernie Sanders. Hillary non ha solo concesso a Sanders l’85% dei consensi della generazione tra i 18 e i 29 anni, ha ceduto l’82% delle donne più giovani. La sconfitta diventa di minor misura aggiungendo le successive fasce di età fino ai 44 anni – 55% a 44% – ma pur sempre di sconfitta si tratta. Hillary tradita a sorpresa? È presto per dirlo, ma le sue difficoltà sono in realtà comprensibili in risposta a profondi cambiamenti generazionali, economici e politici da non sottovalutare.
“Il fatto che sono una donna non vuol dire che ritengo le sue politiche migliori per le donne”, mi dice semplicemente Lindsey, giovane insegnante di Manchester, nel New Hampshire, mentre va a votare per Sanders. Qualcuno potrebbe minimizzare, sottolineando che Iowa e New Hampshire sono Stati poco rappresentativi. O accusare le giovani più liberal di scarsa memoria storica del femminismo evocato da Hillary e della sua importanza. Certo, le fratture generazionali esistono ed è probabile che le giovani americane siano oggi aperte a nuovi femminismi intersezionali, interessate cioè a combattere assieme molteplici forme di discriminazione e sensibili al populismo progressista di Sanders. Tanto che il messaggio e la carriera a favore dei diritti delle donne di Clinton trovano meno eco, finora, nonostante il sostegno di influenti intellettuali e leader femministe da Gloria Steinem e Medaleine Albright.
Pesa di più, evidentemente, una certa arroganza e insensibilità, che dà per scontato il voto e la fedeltà e si riflette in dichiarazioni stridenti e controproducenti: Steinem ha suggerito che le giovani siano con Sanders per dare la caccia ai ragazzi. Albright che “all’inferno c’è un posto particolare per le donne che non si sostengono a vicenda”. La reazione, dai blog su Internet ai campus universitari, è stata incredula e dura.
Il problema vero è che Clinton finora non è riuscita a scrollarsi di dosso l’identità e l’immagine, prima di tutto, del politico tradizionale in un’era inquieta e di ribellione. Se vuole vincere e vincere bene deve diventare, prima di tutto, un migliore e più ispirato candidato. È in affanno in uno scontro che contrappone il suo pragmatismo dei piccoli passi a chi invece chiede cambiamenti più ambiziosi. Anche economici: le donne restano le più danneggiate dai bassi salari minimi, che Sanders propone di alzare subito a 15 dollari l’ora, non al più basso livello di 12 dollari offerto da Clinton.
Chi minimizzasse i primi risultati, così, potrebbe sbagliare: il New Hampshire, in particolare, non ha affatto problemi a eleggere donne. Anzi, è l’unico stato ad avere una delegazione interamente femminile al Congresso. Lo scontro per un seggio al Senato, il prossimo novembre, sarà tra due donne: la senatrice uscente Kelly Ayotte, repubblicana, e Maggie Hassan, attuale governatore democratico. E otto anni or sono un candidato di nome Hillary Clinton aveva salvato temporaneamente proprio qui la sua campagna con una vittoria su Barack Obama.