Genova e il crollo del ponte: l’importanza dei legami umani e della comunità

“Il mondo spezza tutti e poi molti sono forti nei punti spezzati. Ma quelli che non spezza li uccide. Uccide imparzialmente i molto buoni, i molto gentili e i molto coraggiosi”

E. Hemingway

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Più volte mi sono tornate alla mente queste parole nel leggere del crollo del ponte Morandi di Genova e nell’avvicinare le storie delle tante persone colpite da questa tragedia. Uomini, donne, bambini in un lampo sottratti alla vita, nel momento spensierato di una partenza per le vacanze o in quello di una normale giornata lavorativa.

Lutto e trauma in queste ore si intrecciano e si confondono, come due colori liquidi che si mescolino tra loro e non possano più essere distinti. Molti piangono la scomparsa di chi – magari seduto al loro fianco – non ce l’ha fatta, altri soffrono per un equilibrio improvvisamente perduto, fatto di un’abitazione, dei propri oggetti, di quelle abitudini quotidiane che danno sicurezza e rendono la vita riconoscibile. Tutti, sopravvissuti, parenti delle vittime e soccorritori hanno vissuto e dovuto sostenere con lo sguardo scene strazianti, di quelle che a provare ad immaginarle la mente subito rifugge. Il genere umano non può sopportare troppa realtà”, diceva Eliot. I traumi si associano ad una paura innominabile, mettono di fronte a tutta la fragilità dell’essere umano. Diversamente dai moscerini, scrive Rilke nell’Ottava Elegia, noi “viviamo in un continuo prender congedo».

Come quello, sull’ultima
collina che gli mostra per una volta ancora
tutta la sua valle, s’arresta, si volge indietro, indugia
così viviamo, in un continuo prendere congedo.
(Rilke, Elegie Duinesi)

Come aiutare coloro che hanno vissuto eventi di questo tipo? Rispetto a venti anni fa, oggi vi è maggiore consapevolezza della necessità di intervenire tempestivamente a contenere la sofferenza emotiva di adulti e bambini, supportando i naturali meccanismi di recupero psicologico: ogni individuo ne dispone, così come dispone di piastrine che quando si ferisce ad un dito accorrono a cicatrizzare la ferita. Il nostro sistema nervoso si attiva prontamente per adempiere alle funzioni di autoregolazione e di mediazione tra mondo interno ed esterno. La biologia ci ha predisposto alla cura degli strappi, anche di quelli che riguardano la nostra anima.

E’ indispensabile però supportare questi processi spontanei di riparazione, offrendo un sostegno psicologico fin dalle primissime ore e nei mesi successivi[1]. E’ prioritario aiutare le persone a riconoscere la propria sofferenza (quella dei propri figli e dei cari), a parlarne e, se necessario, ad accedere alle cure di cui necessitano: se i sintomi anziché attenuarsi progressivamente, come avviene nella maggior parte dei casi, peggiorano o comunque persistono nel tempo è indispensabile chiedere aiuto, senza timori, affidandosi a degli esperti.

Flashback vividi, nei quali si ha letteralmente la sensazione di rivivere quanto è accaduto, difficoltà del sonno, incubi ricorrenti, nuove paure (ad es, di guidare l’auto in autostrada), evitamenti (come camminare su ponti e strade rialzate), umore depresso e isolamento sono i sintomi più ricorrenti: se inizialmente costituiscono una reazione normale, possono però cronicizzarsi. Complice un corpo che inizia a vivere in uno stato di allerta costante – una sensazione schiacciante sul petto, la paura di perdere il controllo, spesso accompagnati da tachicardia, difficoltà respiratorie, tensione muscolare – la vita di alcuni rischia di restare ferma a quel giorno, un giorno che non diventa mai passato.

E poi c’è il lutto, con il suo senso di irrealtà, con quello stare “altrove”, quell’esserci e fare lo sforzo di esserci pur sentendosi persi, quell’andare avanti come degli automi, alcuni in preda ad una rabbia e ad un senso di ingiustizia incontenibili, altri con un senso di colpa tipico di chi resta. “Tra l’essere travolti dal dolore e il poterselo caricare addosso per andare avanti c’è uno spazio tutto da inventare. Tanto arduo da sembrare a lungo impossibile […] E’ cercare vie ignote per tornare ad essere «vivi»”, scrive in un suo bellissimo libro Maria Luisa Algini.

Per la comunità di Genova questo è il tempo per avvicinare le emozioni, per ricordare, per stare insieme e ritrovare la fiducia. I bambini, in particolare, hanno bisogno di poter parlare di quanto è successo, di ricordare chi non c’è più, di potersi affidare alle persone che hanno intorno, di sentire che restano salde davanti al loro dolore. Nel 2002, dopo il terremoto che colpì il Molise facendo crollare la scuola di San Giuliano di Puglia e uccidendo tutti i bambini della prima elementare e la loro maestra, mentre ero impegnata in un intervento psicologico, sentii dire ad alcuni dei bambini sopravvissuti: “Non piangete, perché poi tutti diventano tristi”. E’ invece indispensabile aiutare i bambini a non negare e ad esprimere le emozioni che provano.

Ma anche gli adulti hanno bisogno di stare insieme, perché per essere elaborato il lutto ha bisogno degli altri: nei gruppi troviamo speranza, universalità, altruismo, coesione, veri e propri fattori terapeutici. “Quanto più ci scopriamo deboli ed esposti, tanto più sentiamo che i legami umani ci sono necessari: sono il tessuto non solo della famiglia e dell’amicizia, ma anche di una società che si dichiara civile”, ha ricordato il Cardinale Bagnasco nella sua omelia.

Purtroppo, ai gruppi e alle comunità nella ricostruzione si pensa poco. Eppure i terremoti che hanno sconvolto il nostro Paese negli scorsi anni ci hanno mostrato chiaramente che i disastri non colpiscono solo individui e famiglie, ma intere comunità, alterando un tessuto sociale che offre sicurezze e punti di riferimento e che può andare incontro a dispersione e abbandono. Questo, allora, è anche il tempo per pensare alle comunità e fare tutto ciò che è in nostro potere per tenerle unite.

Diverse immagini mi hanno colpito dei funerali delle vittime del Ponte Morandi. Alcune riguardano il Presidente Mattarella che ascolta commosso, occhi negli occhi di chi gli parla, mani sulle spalle e sulle braccia a trasmettere forza, ad incoraggiare, rassicurare, consolare. La seconda riguarda i genovesi, la loro compostezza e soprattutto la capacità di non cedere al rancore che divide. Il lungo e commovente applauso che ha accolto la delegazione dei vigli del fuoco, un applauso che era un abbraccio, così come quello in risposta alla preghiera dell’Imam al termine di una cerimonia cattolica, ci raccontano di una comunità (e di un’Italia) che in tempi di discorsi d’odio senza controllo sa essere solidale, che per far fronte al dolore si unisce. Sono premesse preziose per andare avanti, per tornare a sperare l’insperabile ed essere forti “nei punti spezzati”.


[1] I primi interventi possono essere svolti in accordo con il modello del Primo Soccorso Psicologico. Più in là nel tempo, ove necessario, sono invece utili interventi specializzati come la terapia cognitivo comportamentale focalizzata sul trauma e l’EMDR. L’utilizzo di entrambi è raccomandato dalle linee guida internazionali per la cura del Disturbo Post Traumatico da Stress (PTSD).

  • Rosalia Gentile |

    Finalmente una testata giornalistica seria , sono felice che ancora esista chi fa il proprio mestiere , complimenti davvero per il taglio dell’articolo che vado subito a condividere sulla mia pagina.

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